Una moratoria giubilare per gli spazi sociali… è quanto emerge dalla partecipatissima assemblea indetta ieri, 27 gennaio, negli spazi di ESC sotto sgombero. Un’occasione, per il Movimento, di guardarsi negli occhi e ripartire sulla base di un’idea di sinistra semplice e chiara. Un’idea fondata sul principio secondo il quale dove ci sono i diritti non c’è il mercato: NO allo sgombero degli spazi sociali, dunque. E anche NO alla privatizzazione dei servizi pubblici e sociali. Ma, a proposito della sintesi assembleare e/o a come questa viene resa pubblica, dove è finito il NO agli sfratti? Dove si parla di NO agli sgomberi delle occupazioni abitative? Dove è finito lo sforzo per mettere in pratica un linguaggio capace di parlare per tutti e di tutti e non solo di sostenere rivendicazioni sacrosante ma parziali? Come si dimostra la solidarietà attiva nei confronti di chi, in questo momento, non ha neppure la possibilità di iscrivere suo figlio nel proprio nucleo familiare – per non parlare di cure mediche e diritto all’istruzione negati – grazie al piano casa di Renzi e Lupi, frutto della stessa ideologia che ora vuole mettere a valore gli spazi sociali procedendo con gli sgomberi? Come si inverte una simile tendenza e, a proposito di pratiche, come si sostiene la parola d’ordine “CON OGNI MEZZO NECESSARIO”, utilizzata nei manifesti affissi in questi giorni per descrive ciò che si è disposti a fare per la difesa degli spazi sociali, se non ci si mette in gioco quando a essere buttati per strada sono uomini, donne, vecchi e bambini? E, in modo particolare, come si può pensare di andare “oltre noi stessi”, un altro richiamo ripetuto più volte nel corso dell’assemblea, quando in quel “noi stessi” fatto di persone senza casa che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena non ci siamo mai?
La richiesta di una moratoria giubilare per gli spazi sociali a Roma è sacrosanta. Ma se non viene estesa agli sfratti e agli sgomberi nel loro complesso, a cominciare da quelli che si abbattono sulle occupazioni abitative, se non incarna cioè una prospettiva di salvezza davvero collettiva – o tutti o nessuno: non ci si può “salvare a pezzi”! – come quella che prevede un cambiamento radicale dell’esistente, non ha nessuna possibilità di rappresentare quell’opposizione alle politiche neoliberali che dice di voler essere. E, sganciata da una piattaforma popolare nel senso più esteso del termine, a dire la verità, non ha neppure alcuna possibilità di successo. A parlare nelle periferie resterà l’estrema destra spalleggiata dalle forze dell’ordine oltre che da un senso comune a cui è stata inculcata l’idea che la sinistra sia nella realtà roba da ricchi. Dopo di che sarà necessario difendere se stessi dall’avvento di un regime di stampo fascista, altro che dagli sgomberi degli spazi sociali.
PS: nella “giornata della memoria” si rende noto che il 28 gennaio, alle 5 del mattino, si procederà allo sgombero dello stabile di via Prenestina 1391, di proprietà dei padri Monfortani e tenuto vuoto da più di dieci anni. Con il manganello dello sgombero sulla testa, inutile precisarlo, non c’è alcun diritto sociale per nessuno. E citando Primo Levi, dato il valore simbolico della data, non c’è neppure Dio. Altro che “giubileo”.
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