Le lotte sociali ti spezzano il fiato. Soltanto sabato, con un piccolo gruppo di compagni e compagne, ero in via Ramazzini, davanti a una delle sedi della Croce Rossa. Dovevamo parlare con una giornalista dell’evidente salto di qualità nella guerra contro i poveri compiuto a Roma dove, con la regia della giunta a 5 stelle di Virginia Raggi, si è pensato bene di tirare su un vero e proprio campo di concentramento: file di baracchette in plastica circondate dal filo spinato in cui dovrà essere “alloggiato” con la forza chi vive in case occupate sotto la minaccia dello sgombero o chi, avendo perso il lavoro o essendo terribilmente sottopagato, non è più in grado di pagare l’affitto. In via Ramazzini, in realtà, non ci sono stato più di cinque minuti. Tanto è servito a un blindato della celere ad arrivare sul posto. Altre due ore, poi, si sono perse per ciò che veniva spacciato per un “normale” controllo di documenti, in realtà un fermo in piena regola… e grasso che cola se nei prossimi giorni non ci verrà notificato anche un daspo urbano, visto che molti di noi ne hanno già collezionato uno impedisce di salire al Campidoglio per andare a esprimere liberamente ai suoi inquilini ciò che si pensa di loro.
La sera di sabato, comunque, tornando finalmente a casa, facevo mente locale sull’assemblea di “Potere al Popolo”, di cui mi era giunta notizia attraverso i social network, anche se né a me, né a nessuno dei contesti di lotta che attraverso, era arrivata una qualche forma di invito, di proposta di interlocuzione o di partecipazione. «Pazienza», mi sono detto tra me e me, «perché effettivamente radunarsi intorno alla parola d’ordine “potere al popolo” rappresenta effettivamente un punto di svolta, un’occasione per cimentarsi in qualcosa di nuovo».
Ma è veramente così?
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