I coccodrilli già non è che siano una bellezza. Ma quando piangono fanno proprio schifo. E ora che donna Vera Casamonica, insieme al figlio Vittorino, è stata ricevuta con tutti gli onori a “Porta a porta” dal cimbellano Bruno Vespa, gli ultrà della legalità a senso unico, i perbenisti ipocriti, i servi dell’austerità in conto terzi non è che semplicemente piangono: si disperano.
Le ragioni di questa ondata di isterica tristezza, mascherata da indignazione sulle pagine dei giornali, sono semplici. Salita in quel regno dei venditori di fumo e pentole che è la trasmissione di Vespa, Vera Casamonica sbaraglia la concorrenza: parla alla pancia dei telespettatori meglio di qualunque deputato grillino e, soprattutto, si dimostra più brava di Renzi, superando senza fatica il ducetto di Rignano in termini di indici di ascolto (14,56% contro 14,16% è il risultato a favore della famiglia romana), trasformando l’opzione Casamonica in un progetto politico di gran lunga più convincente di quello targato PD.
Con intelligenza, Vera Casamonica ha preso atto della debacle a cui sono andati incontro i referenti governativi che hanno consentito alla famiglia di prosperare nei lunghi anni di Mafia Capitale e, in modo corretto, non ha certamente letto nelle indagini che hanno travolto gli Ozzimo, i Venafro e gli Odevaine (tutti uomini del PD, of course) il sussulto di una giustizia da sempre impegnata a combattere i poveri e a omaggiare i potenti, ma l’esigenza inequivocabile di una ristrutturazione che, a livello Europeo, ha bisogno di razionalizzare e di mettere a valore persino il florido sottobosco di mazzette connaturato al vecchio sistema. Da oggi in poi, questo è quello che ha capito Vera Casamonica, i banchieri, gli sfruttatori e i palazzinari di serie A intendono appropriarsi di qualunque forma di economia sommersa, trasformando – come avviene con strumenti tipo il Jobs Act (e infatti non c’era anche il ministro Poletti alla famosa cena con Buzzi dove presenziavano anche i Casamonica? Sì, c’era…) – ciò che era sempre stato considerato «nero» in sistemi di sfruttamento perfettamente legali, ma del tutto conformi alle modalità del rigore pretese dalla fase attuale.
Di fronte a un simile pericolo, donna Vera ha agito con rigore e, dai funerali di don Vittorio Casamonica fino alla partecipazione a “Porta a porta”, non si è mai preoccupata di dissimulare o, opportunisticamente, di occultare le differenze tra il sistema Casamonica e il mondo garantito dalla politica ufficiale, giustamente convinta di poter trionfare, come di fatto ha trionfato nel salotto di Vespa, nel confronto tra le possibilità offerte dal sistema Mafia e la via antipopolare connaturata al Parlamento e alla intera sovrastruttura ideologica.
Quello che Vera Casamonica afferma tra le righe del suo linguaggio è che oggi la Mafia è l’unica forma di opposizione organizzata alla spietata tecnocrazia europeista, forte di una proposta che, tra cavalli e formiche, è in grado di offrire una modalità credibile di welfare al nulla messo in campo dalle politiche attuali.
Prendiamo per esempio l’inchiesta che, seguita con grande clamore dagli organi di informazione, sta accompagnando il processo pubblico ai Casamonica dopo lo “scandalo” dei funerali di don Vittorio: «Il racket dell’“agenzia Casamonica”», titola oggi il renziano «la Repubblica», parlando della “vergogna” di case popolari controllate dal clan e affittate a 150 euro al mese… come fa una simile affermazione a risultare credibile, a superare in termini di gradimento la proposta di donna Vera quando a Roma i Caltagirone, i Toti o i Parnasi per darti un tetto da mettere sopra la testa della tua famiglia ti chiedono dieci volte di più?
Questi ultimi, tra l’altro, non hanno neppure bisogno degli spezzapollici, perché in caso di insolvenza ricorrono direttamente ai plotoni della celere, che arrivano all’alba nelle casa delle famiglie che hanno perso il lavoro per manganellare, distruggere e buttare in mezzo alla strada gli sfrattati senza alcuna pietà e senza che a livello comunale venga offerta alcuna soluzione alternativa.
Un altro che ha da ridire sui Casamonica è Alfonso Sabella che, in una dichiarazione raccolta da Silvia Fumarola per «la Repubblica» del 10 settembre 2015, accusa: «Dietro la simpatia un po’ burina di Vera Casamonica si celano violenza e prepotenza, un mondo fatto di usura, del dolore di tante vittime…».
E perché, caro (si fa per dire) Sabella, cosa si cela dietro al tuo, di mondo?
Sei l’uomo che ha guidato la repressione durante il G8 di Genova: davvero pensi di poter dire qualcosa di vagamente credibile (o di riscuotere una minima forma di semplice rispetto) con le mani sporche del sangue di Carlo Giuliani, ammazzato in piazza, e di quello versato nella scuola Diaz e a Bolzaneto da centinaia di ragazze e ragazzi, torturati per ore?
Insomma, il confronto tra Vera Casamonica e i suoi accusatori istituzionali è improponibile. Bruno Vespa lo ha evidentemente capito e, con la consueta capacità di offrire i sui servizi al potente di turno, è restato fedele a se stesso, offrendo ai Casamonica la stessa compiacenza già assicurata a Renzi, a Berlusconi e, prima di loro, agli stessi uomini che, da un lato, sedevano in parlamento per discettare di legalità e di rispetto delle istituzioni, mentre poi baciavano in bocca i mafiosi e, di fatto, costruivano lo stesso sistema che oggi permette a Vera Casamonica di rilanciare se stessa sulla scena politica per continuare a essere ciò che è: il terminale violento e corruttivo di uno Stato che appalta alla criminalità forme di controllo e di sfruttamento funzionali al mantenimento di un ordine che la lotta di classe vorrebbe, al contrario, capovolgere e distruggere. Perché se fosse garantito il diritto alla casa popolare, se fosse conquistata una sicurezza sociale poggiata sulle solide basi del lavoro, della sanità e della scuola, se si fermasse la devastazione legata alle grandi opere e ai grandi eventi, è evidente che non ci sarebbe più spazio né per i Casamonica, né per i Caltagirone, né per i Renzi. Di sicuro, all’appello, mancherebbe pure Bruno Vespa. Perché a quanto pare la rivoluzione non ha l’abitudine di andare in diretta televisiva. Figuriamoci a “Porta a porta”.