Se fossi chiamato a disegnare la passione, mi cimenterei nell’impresa tracciando due cerchi con il compasso e, simulata con quella forma l’idea della ruota, andrei avanti abbozzando con una matita nera i pneumatici e i raggi, il telaio e il manubrio, i fari e la sella. Arriverei, in questo modo, a rimirare sulla carta un motorino: magari uno di quelli degli anni Ottanta, esile ma comunque in grado di caricarsi sulla sella due persone grazie alla sua cilindrata, senz’altro portata a settantacinque cc partendo dall’originale taglia cinquanta. Per questo, sempre nel disegno, dedicherei la massima attenzione al cuore di quel mezzo: la marmitta ad espansione. Ovviamente, per farla rendere al massimo, la sceglierei di fattura artigianale e non trascurerei mai, continuando a correre con la matita sul foglio, di sottolineare, nel carburatore, la dimensione maggiorata del getto. Mi affiderei con fiducia a ciò che mi è rimasto negli occhi per recuperare, insieme al ricordo dell’adolescenza, la memoria delle singole parti che compongono l’oggetto. Ma poi, vittima di uno strano scherzo, immaginando di tornare ai tempi della scuola, su quel foglio inizierebbero ad apparire nuove cose insieme al motorino. Lo schema di una gabbia tipografica, per esempio. Un rettangolo di carta senza pedali o manopole o candele ma, al loro posto, le misure precise del taglio, del piede, della cucitura, della mozza e della testa.
Sulle mani, se dovessi pensarle come erano allora, le macchie lasciate dal grasso dopo aver smontato il carter si confonderebbero con quelle più morbide dell’inchiostro. Segnale inequivocabile di appartenenza a un nuovo mondo: dopo quello dei motorini, della messa a punto e della convergenza, quello dei libri e delle riviste, delle redazioni e della programmazione editoriale; lancio dopo lancio, accuratamente pianificata utilizzando le pagine di un’agenda.
Il foglio su cui tutto il gioco della passione e delle sue forme si è depositato, a questo punto, avrebbe bisogno dello stesso colore rosso delle guance di un meccanico in erba di fronte ai primi sguardi delle ragazze per completare la dimensione strettamente sentimentale di un percorso professionale: il percorso che, dai banchi della scuola, conduce direttamente all’industria editoriale. Quali collegamenti ci sono?
Tantissimi. Motorini e libri, prima di tutto, restano formidabili mezzi di comunicazione. E se i primi servivano principalmente ad andare a trovare le ragazze, i secondi risultavano indispensabili quando si trattava di dedicare loro poesie d’amore…
Motorini e libri, ovviamente, sono una metafora. Ma anche un titolo che prima o poi sarebbe giusto dare a qualche corso di editoria. Motorini e libri… magari per sottolineare che anche ai tempi dell’istruzione specialistica e parcellizzata, a fare i libri si impara come si impara ad aggiustare motorini: rubando a il mestiere con gli occhi e continuando sempre e comunque a sporcarsi le mani. Gli ostacoli non mancheranno mai. Ma se ai tempi del liceo non erano forti abbastanza da impedire a un ragazzo di borgata di inforcare il suo sogno a due ruote per spingerlo verso il mare senza casco, senza bollo e senza assicurazione, ma con un passeggero attaccato alle spalle, oggi che, complice la più grave crisi economica dell’ultimo mezzo secolo, gli spazi a disposizione per chi vuole esprimersi e lavorare si sono ridotti al minimo, la regola regina che ogni aspirante autore – e qualunque sognatore – dovrebbe seguire religiosamente è sempre quella dettata anni fa dal grande Bukowski: «Soltanto una cosa può impedire a un uomo di scrivere. Se stesso».
Per il resto, tra libri e motorini le analogie restano profonde. E applicata all’editoria una famosa canzoncina popolare romana – quella che recita «vengo da Primavalle / col vespino rosso bordeaux. / Di prima mi fa una piotta / di seconda non lo so…» – ne verrebbe fuori un discorso molto divertente su una certa attitudine, da parte dei centauri, ad esagerare fino all’inverosimile le prestazioni del loro motorino; e, da parte degli addetti al lavoro editoriale, sulla disinvoltura con cui si snocciolano vendite e tirature o si millantano conoscenze e possibilità promozionali.
In questo parallelismo mancherebbero soltanto le ragazze. Ma in fondo non c’erano neppure al bar tanti anni fa. Mentre il centauro prendeva una birra con gli amici e infilava nella stessa storia le pieghe in quarta sulle curve a gomito e un volto da sogno su cui fantasticare incredibili avventure.
Introduzione al libro Cose che gli aspiranti scrittori farebbero meglio a non fare ma che invece fanno di Cristiano Armati, Giulio Perrone Editore, 2012