Guardo pochissima televisione. E non sono di tipo ideologico le questioni che mi tengono lontano dal piccolo schermo. Ma il fatto è che, con il suo corollario di situazione comoda e luce soffusa, per me la televisione significa prima di tutto sonno, a prescindere dall’interesse che possa nutrire per un determinato film o programma.
Al contrario, di natura squisitamente ideologica è l’avversione radicale che nutro nei confronti della televisione a pagamento. Non solo, infatti, Sky non mi ha mai avuto né mi avrà mai, ma non sono neppure poche le polemiche da pianerottolo in cui, con i miei vicini paytvdotati, ho sostenuto la tesi luddista secondo la quale l’unica televisione a pagamento buona è quella eventualmente ottenibile con una scheda criptata o altri mezzi pirata. Prima di tutto perché, veicolandosi attraverso l’etere o dipanandosi grazie a cavi ospitati dal sottosuolo, qualunque segnale televisivo utilizza per esistere l’aria e la terra, beni che in nessun caso mi sono mai immaginato di privatizzare; e in secondo luogo perché reputo la televisione a pagamento responsabile di quella grande confusione in cui è precipitato il «mondo di sotto» al quale appartengo, capace persino di scegliere di pagare il proprio intrattenimento a prezzo di rinunce fatte scontare ad alcune tra le tante cose, decisamente più belle, messe a disposizione dalla vita. Ogni volta che un abbonamento Sky viene sottoscritto, c’è un viaggio che muore; una giornata al mare da regalare alla propria famiglia in meno; una cena romantica perduta; una colossale sbornia in giro per locali con gli amici a cui si rinuncia a partecipare; libri, dischi e ogni altra sorta di occasioni ludiche e formative sottratte a se stessi per prendere parte in modo isolato a ciò che viene venduto come un’irrinunciabile esperienza collettiva, che si tratti di una finale di champions legue o di un kolossal trasmesso in prima visione.
Per questa ragione, qualche sera fa, trovatomi a casa solo e pensieroso e volendo sfogare questa solitudine e questi pensieri, mi sono seduto sul divano e ho acceso la televisione, sintonizzandomi sul canale pubblico chiamato «Rai Movie». In modo pressoché immediato, complice l’ora tarda, gli occhi hanno cominciato a chiudersi da soli, precipitandomi in uno stadio in cui facevo qualche difficoltà a capire se stavo dormendo, e quindi sognando, o se era il film in programmazione a mostrarmi ciò che comunque, a un certo punto, vedevo.
Occorre precisare che mi trovavo tipo in quarta serata, e che quindi il palinsesto del mio canale Rai stava raschiando il barile del suo magazzino-titoli offrendo un qualche B, C o D-Movie di cui non ricordo il titolo ma soltanto qualche pezzo di trama, simile, credo (non sono mai stato un cinefilo, ed è già tanto che non scriva «cinofilo»…), a decine di altri film simili. Un film dove, a un certo punto, una qualche accusa terribile viene lanciata da un gruppetto di cospiratori malvagi contro un innocente; con l’innocente che, smessi i panni del buon padre di famiglia e/o del marito affettuoso, lavoratore serio ed esemplare, si trasforma in una sorta di macchina da guerra per smentire le bugie di cui è vittima. Sottraendosi alla cattura da parte della polizia, allora, l’eroe in questione si munisce di armi da fuoco che inizia a usare senza risparmio, sgominando decine di cattivi o presunti tali. Alla stessa maniera, ingaggiando inseguimenti a rotta di collo con i tutori dell’ordine, provoca incidenti terrificanti, con TIR che sbracano negozi e automobili che volano tra i ponti. Dopo essere passato anche per gli esplosivi e le bombe a mano per trovare gli argomenti utili a dimostrare la propria innocenza, questo eroe riesce effettivamente nell’intento: non è colpevole di nulla, ma sono stati i cattivi, magari pure con qualche talpa nella polizia, a fabbricare le prove per incastrarlo; ora che tutto è chiaro non gli resta che ricevere calorose pacche sulla spalla insieme alle scuse ufficiali. I morti, i feriti, le devastazioni che ha provocato non contano più nulla: era suo diritto difendersi; raggiunto lo scopo, può tornare alla sua casa, dove c’è una moglie bellissima che lo aspetta, e sprofondare nuovamente nelle sue abitudini quotidiane.
Nemmeno il tempo di assaporare il finale di questo anonimo film, che, grazie al ponte d’oro costruito per me dal sonno, a scorrere sullo schermo sono le notizie del telegiornale. Si parla di Buzzi, di Carminati, di Mafia Capitale…
L’annunciatrice, con fare compunto, snocciola i dati forniti dalla magistratura: tot arresti, tot avvisi di garanzia, tot dimissioni di uomini politici delle più disparate appartenenze di partito eccetera eccetera. Di fronte a un’assenza, però, mi pare di tornare lucido e, all’improvviso, di non avere più sonno, ma, al limite, sempre e comunque voglia di sognare.
L’assenza, in questo come tutti gli altri spacci di notizie riguardo a Mafia Capitale, riguarda la domanda più importante, vale a dire: da dove, tutto questo, è cominciato?
Ebbene, il terreno di questa nuova generazione affaristico-criminale è quello, drammatico (non certo per loro), dell’emergenza abitativa, nella sua doppia veste di fenomeno di impoverimento generalizzato, con conseguenza perdita della casa e/o del reddito necessario a mantenersi un tetto sopra la testa, e di business dell’accoglienza, con particolare riferimento ai migranti e, in modo particolare, ai richiedenti asilo e a coloro che hanno acquisito lo status di rifugiato politico.
Si tratta, come è ovvio, di due facce dell’identica medaglia: la morte, avvenuta in Italia, di qualunque politica dedicata all’edilizia residenziale pubblica, con il conseguente azzeramento nella disponibilità di case popolari, a cui peraltro i rifugiati avrebbero pieno diritto (lo afferma, parlando di legalità, la Convenzione di Ginevra, sottoscritta dall’Italia nel 1951).
A parlare sono i numeri. In una città come Roma, l’incidenza dell’edilizia popolare sul patrimonio immobiliare è ferma oggi al 3%, ben quattro punti percentuali in meno rispetto a quanto toccato una trentina di anni fa, ma comunque ben lontano dalla media europea, che assegna alle case popolari valori intorno al 12%. Parliamo, in questo caso, di metropoli come Londra o Berlino, cioè di templi del capitalismo avanzato e non certo di paradisi del socialismo reale. Infatti è proprio in questa macroscopica differenza che si consuma la natura mafiosa del regime italiano. L’attacco alle case popolari, non a caso, è funzionale sia a drogare il mercato immobiliare a vantaggio di una cricca di palazzinari e di operatori del business finanziario della cartolarizzazione (la pratica di trasformare in cedole dal valore arbitrario quote di proprietà immobiliari: do you remember la crisi dei mutui subprime?) e, contemporaneamente, di un sottobosco travestito da cooperazione sociale (Buzzi&Co. sono solo la punta dell’iceberg) e pure verniciato di sinistra (o di solidarismo cattolico), interessato a rendere sistemica l’emergenza per continuare a fare affari affittando al comune per qualcosa come 2000 euro al mese ognuno i loculi in cui vengono intubate le famiglie ridotte a vivere in strada dopo aver perso lavoro e casa con la crisi.
Il sogno, di fronte a una simile situazione, è quella di una massa brutta, sporca e cattiva, in grado di coagularsi per scagliarsi compatta contro i suoi affamatori armata di un simbolo nuovo e antico allo stesso tempo: un bel palo appuntito; uno di quei semplici attrezzi utilizzati per somministrare il connesso supplizio dell’impalatura; ultimo mezzo di dissuasione per la congrega di politici corrotti e per tutti i corpi intermedi che hanno edificato il peculiare sistema di sfruttamento italiano, mafioso perché incapace di tenere conto persino di quel minimo di welfare altrove somministrato per tenere basso il conflitto sociale…
Sempre sul divano, ormai in stato di trance per colpa della micidiale accoppiata sonno-telegiornale, non mi restava che assaporare un’altra notizia. Pare, infatti, che a Roma bisognerà starsene belli tranquilli, visto che papa Francesco I avrebbe deciso di proclamare il Giubileo…
L’idea è fantastica. Tant’è che già si parla di approfittarne per imporre il divieto di scioperare e di manifestare per non disturbare i necessari lavori, e poco importa se questi lavori toglieranno ulteriori risorse a ciò che spetterebbe all’emergenza abitativa: il modello Expo lo ha già insegnato, l’importante è accaparrarsi un posto da volontario – rigorosamente non pagato – con cui fregiare il proprio curriculum, per tutto il resto (nuove speculazioni immobiliari, colate di cemento ovunque e azzeramento di vigilanza grazie a qualche commissario a cui conferire poteri speciali) c’è Mafia Capitale; a cui sarebbe davvero più corretto togliere ogni connotazione etnica per iniziare a parlare compiutamente di Mafia Nazionale, e non certo per riferirsi alle organizzazioni vecchio stile di picciotti siciliani o calabresi, ma al Partito della Nazione, dove un simile sistema ha trovato la sua degna consacrazione… a che cosa è servito, altrimenti, il decreto con cui il fu ministro Lupi ha stabilito di privare della residenza chi vive in stabili occupati e di vendere le case popolari?
Inutile specificare, rimpallando tra il film su Rai Movie e uno a piacere tra i telegiornali di regime, che a differenza di quanto accaduto al povero eroe ingiustamente calunniato, coloro che in questi anni hanno attaccato concretamente il sistema mafioso e il business dell’accoglienza, vale a dire i militanti dei Movimenti per il Diritto all’Abitare, non si sono mai visti rimettere tutti i reati di cui sono stati accusati: dalla resistenza aggravata all’invasione di edificio, ogni denuncia è restata al suo posto, e giorno dopo giorno dispensa misure restrittive e anni di galera. È proprio qui, però, che l’idea di papa Francesco potrebbe rivelarsi davvero geniale, almeno per quella massa brutta, sporca e cattiva comparsa a un certo punto del sogno o della visione con tanto di palo appuntito in testa. L’idea di lanciare un grande, autentico Giubileo popolare. Come è stato scritto:
Secondo l’Antico Testamento il Giubileo portava con sé la liberazione generale da una condizione di miseria, sofferenza ed emarginazione. Così la legge stabiliva che nell’anno giubilare non si lavorasse nei campi, che tutte le case acquistate dopo l’ultimo Giubileo tornassero senza indennizzo al primo proprietario e che gli schiavi fossero liberati.
Adattando ai giorni nostri una simile prospettiva, il programma del prossimo Giubileo dovrebbe contemplare:
- L’azzeramento di tutti i debiti nei confronti di Equitalia;
- La regolarizzazione a tempo indeterminato di tutti i contratti atipici insieme a quella di tutti i lavoratori precari;
- La nazionalizzazione di tutte le imprese che, in regime privatistico, erogano servizi utili alla collettività;
- L’amnistia generalizzata a favore dei prigionieri dello stato italiano attualmente in carcere;
- E, naturalmente:
La requisizione immediata di tutto il patrimonio immobiliare sfitto, direttamente proporzionale ai numeri dell’emergenza abitativa nonché sola misura in grado di fare fronte allo stato di crisi e di debellare Mafia Capitale o Nazionale che dir si voglia.
In alternativa, l’unica soluzione per combattere concretamente i mafiosi saldamente in sella è, come sempre, quella di occupare tutto. Espropriare gli espropriatori per tornare a disegnare una prospettiva di classe che è anche una prospettiva di salvezza rispetto alla barbarie che ci attende dietro l’angolo di un capitale boccheggiante e per questo feroce nella sua pretesa ristrutturazione. Occupare tutto, dunque. Per togliere di mezzo il mondo di sopra. E perché non si sta parlando di un film, ma della vita reale. L’unico ambito in cui, collettivamente, è decisivo tornare a ritagliarsi un ruolo da protagonisti.