La stampa mainstream continua nei decenni ad accostare il termine ultrà alla parola teppismo come se fossero sinonimi, a demonizzare uno stile e un movimento (nato tra lo stadio e la strada) senza mai essersi addentrata su quei gradoni, macinato centinaia di kilometri per le trasferte, partecipato a quelle domeniche dove l’unica cosa che conta sono i colori della propria maglia.
Nonostante questa sottocultura abbia subito numerosi mutamenti, affrontato una repressione costante sempre più intensa e sia stata costretta a misurarsi con un sistema-calcio devoto solo al denaro, sopravvive continuando a suo modo ad esprimere conflittualità e odio verso una cultura dominante che non gli appartiene.
Cosa c’è dietro l’attitudine al conflitto sociale che caratterizza la militanza ultrà? Quali sono le ragioni di una rabbia mai compresa dalle inchieste sociologiche legate al fenomeno? Qual è la storia di un movimento che attraversa l’intera Europa, restando l’unica spina nel fianco di un sistema-calcio ormai quasi completamente addomesticato alla televisione?
A vent’anni dalla prima pubblicazione ritorna “Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa” di Valerio Marchi, un libro che risponde a queste domande con originalità ed entra nel merito del fenomeno dalla sua nascita fino ai tempi recenti. Uno dei pochi in circolazione in cui, a prendere la parola per parlare di ultras, è chi è stato ultras.
Il testo sarà presentato giovedì 22 ottobre alle 19 presso la MEDIATECA GATEWAY (via San Petronio Vecchio 33/B) insieme a Cristiano Armati, editor della Red Star Press e di Hellnation Libri.
Un bambino piccolo, usando le piccole dita della sua mano, non sarebbe stato più capace di tenere il conto: Uno, dieci, cento blindati, questa mattina all’alba, hanno invaso via Fioravanti, dietro la stazione di Bologna ed esattamente di fronte agli uffici del Comune. Armati di tutto punto, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine sono scesi dagli automezzi e hanno immediatamente circondato il palazzo della Ex Telecom, un luogo già abbandonato ma che dallo scorso dicembre trecento persone hanno iniziato a chiamare “casa”. Questo è il numero delle persone che vivono in quel luogo: una delle più grandi occupazioni abitative italiane, ma anche una delle più vivaci. Perché come in ogni casa che si rispetti, sotto quel tetto non ci si è riparati soltanto dal freddo e dalla pioggia, ma è stata costruita solidarietà, rispetto reciproco, vera integrazione culturale e possibilità concrete di riscatto per chi è stato derubato di ogni cosa ma che, a partire dalla Ex Telecom, ha potuto rialzare la testa, sfidare un presente di soprusi e umiliazioni e tornare a progettare un futuro. Oh, se solo si potesse contare l’amore da cui l’Ex Telecom è stata avvolta! I cento blindati bolognesi sarebbero immediatamente spazzati via. Un intero esercito non avrebbe il valore di una singola storia tra le moltitudini che hanno visto protagonisti gli occupanti e le occupanti della Ex Telecom. Ne racconto una soltanto, perché sarà abbastanza. La storia di una giovane coppia marocchina. Lei aspetta un bambino. Passano i giorni, ma il piccolo ha fretta. Forse vuole conoscere i tanti amichetti e le tante amichette – nella Ex Telecom ci sono un centinaio di bambini – che lo aspettano lì, nel grande piazzale interno ai vecchi uffici abbiandonati. Fatto sta che il bambino spinge e una notte, all’improvviso, alla mamma si rompono le acque… il bambino sta nascendo!
Il giovane papà si spaventa, la mamma non sa bene che fare… in Marocco, però, c’è un’altra mamma, la nonna, che i suoi figli li ha partoriti in casa. E se l’ambulanza, chiamata, ritarda, la sapienza popolare supera il mare: si fa così e così, ordina la nonna da Casablanca. E un manipolo di donne dell’occupazione, nate in ogni continente, si trasforma in ostetriche esperte sotto la guida della nonna marocchina: mettono a bollire l’acqua e preparano gli asciugamani… proprio come si vede nei film. Il piccolo nasce nella nuova casa occupata, tra le grida di gioia e le lacrime d’emozione di tutta la Ex Telecom: quando arrivano i medici possono solo dire che sta bene e che tutto, compreso il taglio del cordone, è stato fatto alla perfezione. Quel bambino, in questo momento è lì, in quel palazzo: gli uomini e le donne in divisa non vogliono che cresca libero e felice, non lo vuole il Pd locale né il Pd nazionale, non lo vuole la prefettura, non lo vuole la questura e non lo vogliono nemmeno i tanti leoni da tastiera, abituati a pontificare ma incapaci di agire.
Questa mattina, alla Ex Telecom di via Fioravanti la polizia e i carabinieri stanno sputando su ciò che esiste di più sacro. Una comunità di vita e di lotta che ha sovvertito la regola delle tante case senza gente e della tanta gente senza casa. Quella gente, la nostra gente, è stata già caricata diverse volte in via Fioravanti: ci sono molti feriti, c’è il sangue che cola sull’asfalto, eppure si sta resistendo.
La cosa più schifosa, insieme agli assessori del partito democratico che assistono allo scempio dalle finestre dell’edificio Comunale (vergognatevi di esistere!) è, forse, la vista degli assistenti sociali che stanno minacciando madri e padri: sono pronti a togliere i figli a chi resiste; ma non lo permetteremo ma, non staremo a guardare un simile abominio.
In tutta Italia, di fronte alla Ex Telecom, vogliamo piangere le stesse lacrime di gioia e di emozione che abbiamo pianto quando abbiamo saputo del parto assistito dalla telefonata dal Marocco. La gioia che vogliamo piangere è quella di una resistenza capace di durare un minuto in più del nostro nemico e l’emozione, allora, sarà quella di un nuovo inizio: non più una difesa, ma un clamoroso attacco alla riconquista di tutti i diritti. Una casa in cui vivere, un lavoro dignitoso, una scuola piena di colori, una sanità aperta a tutti e a tutte. Questa è la partita che si sta giocando in questo momento a Bologna, e allora: perché state ancora leggendo questo pezzo?
Se siamo ancora capaci di farci stringere il cuore e di sentire un briciolo di indignazione non diamola vinta alle forze del male, non lasciamo soli le mamme e i papà di Bologna insieme ai mostri: lasciamo il lavoro, usciamo dalle case, riversiamoci nelle strade!!! A Bologna il presidio dei sodali cresce di minuto in minuto e la granitica certezza delle forze dell’ordine si incrina: oggi non si passa, dicono le bandiere degli occupanti saliti sul tetto decisi a restare lì. Oggi non si passa dicono le signore che sbattono sui muri i coperchi delle pentole. Oggi non si passa dicono i bambini e persino le loro maestre e i loro maestri, i Partigiani della Scuola Pubblica, accorsi sul posto.
In tante città italiane, sono stati chiamati presidi di solidarietà, punti di raccolta decisi a scongiurare questa ennesima infamia: da Alessandria a Palermo, da Brescia a Roma, dove i sodali del movimento per il diritto all’abitare hanno fissato una manifestazione per le 17, a Porta Pia, sotto le finestre di Del Rio, uomo forte di Renzi nonché ministro attualmente responsabile della grave crisi degli alloggi in Italia.
Oggi è una di quelle giornate dove la storia accelera la sua corsa, vibrando dalla voglia di essere scritta, non con le parole, ma con i corpi di chi sceglierà di stare dalla parte giusta.
Oggi è una di quelle giornate in cui la sinistra italiana è chiamata a dire “io c’ero” mentre, delle guardie e dei loro padroni in doppiopetto, bisogna che a fine serata si possa dire “non ci sono più”.
Perché oggi alla Ex Telecom e con la Ex Telecom, simbolo di tutte le occupazioni abitative italiane, è necessario dimostrare che l’alta velocità in Val di Susa non la vogliamo, che le trivellazioni nell’Adriatico devono cessare, che le esercitazioni militari in Sardegna non hanno ragione di essere, che gli impianti Nato in Sicilia vanno smantellati, che i rifugiati sono i benvenuti e che l’unico posto in cui possono rifugiarsi fascisti, razzisti e uomini di Renzi si trova fuori dalla storia, al di fuori di qualunque umanità. Per questo alla Ex Telecom resistere si può, ma vincere bisogna.
Ieri a Bologna la Procura ci è andata giù pesante, notificando a Gianmarco De Pieri del centro sociale TPO il divieto di dimora nel capoluogo emiliano (è poco, ma a Gianmarco va tutta la nostra solidarietà).
All’attivista sono state concesse soltanto un pugno di ore per abbandonare la città dove vive e dove lavora, utilizzando un provvedimento (come il ricorrente reato di “devastazione e saccheggio”) preso di peso dal Codice Rocco, elaborato durante il regime mussoliniano per reprimere qualunque forma di dissenso, accostando le pratiche squadriste delle purghe e del manganello all’azione giudiziaria, grazie alla pratica del confino, subita da generazioni di antifascisti italiani.
Quelli citati, purtroppo, sono solo alcuni esempi, niente affatto isolati. Ma dopo questa nuova svolta repressiva a Bologna è diventato naturale commentare come la città sia di fatto governata, più che da un’amministrazione eletta dai cittadini, da un organismo di polizia, nemico delle istanze sociali in quanto direttamente legato a un altro centro decisionale, vale a dire il comitato d’affari retto da Matteo Renzi a livello nazionale.
Questa osservazione, se applicata a Roma, sembra addirittura banale. In città, infatti, non ci si vergogna neppure – alla faccia del goffo Ignazio Marino – a sostenere che il vero sindaco si chiama Franco Gabrielli, un poliziotto passato per la Digos di Roma e Firenze, la prefettura de L’Aquila e la direzione del SISDE prima di essere nominato rappresentante del governo nella Capitale. Lo stesso ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha sottolineato come a Gabrielli vada riconosciuta una delega speciale per quanto riguarda l’imminente Giubileo, una nomina che il «superprefetto» ha immediatamente festeggiato procedendo allo sgombero dello studentato occupato Degage.
Anche il divieto di dimora subito da De Pieri ha a che fare con uno sgombero: quello di Villa Adelante, una palazzina in viale Aldini che se condivide con la romana Degage lo stile liberty dell’immobile, più in generale ha a che fare con il pugno duro preteso dal Partito della Nazione di Renzi nei confronti di tutte le pratiche di riappropriazione. Case, studentati, centri sociali e, su questa falsariga, movimenti nati a tutela del territorio (ricordiamo quello che è successo a L’Aquila durante la recente visita di Renzi ai danni di chi rifiuta le trivellazioni dell’Adriatico?), ostacoli eliminabili, in ultima istanza, soltanto con la brutale violenza della polizia, in ossequio sia alle privatizzazioni imposte dall’Unione Europea, sia ai dettami del micidiale TTIP (Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti), la cui devastante portata antipopolare non viene ancora percepita a livello di massa.
Quello che sta succedendo è che con il perdurare e l’avanzare di quel processo di ristrutturazione del Capitale a cui è stato dato il nome fin troppo tranquillizzante di “crisi” (vedi la buffonata dei finti dati sull’occupazione dopo il Jobs Act…), lo Stato non può affidare alle sue articolazioni periferiche, già completamente private di risorse e quindi rese appositamente inutili, né la gestione degli interessi padronali, né, tantomeno, l’ordine pubblico. Da qui l’esigenza di affidare direttamente alle prefetture il governo cittadino e regionale e la scelta di utilizzare la “legalità” come cavallo di Troia della persecuzione dell’attivismo e “l’efficienza” per ignorare norme, delibere e trattative strappati dai movimenti impegnati sul territorio. La misura decisa dal governo Renzi è scoperchiatamente antidemocratica, ma non è certo nuova. Durante il fascismo, per esempio, non ci si vergognava di comportarsi nell’identica maniera e una carica come quella di Gabrielli aveva un nome preciso: il podestà.
Per capire di cosa si tratta, basta lasciare la parola a wikipedia. Ognuno, poi, sarà libero di trarre le proprie conclusioni:
In Italia il regime fascista introdusse la figura del podestà con la legge 4 febbraio 1926, n. 237, una delle cosiddette leggi fascistissime. Dal 21 aprile 1927 al 1945 gli organi democratici dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni in precedenza svolte dal sindaco, dalla giunta e dal consiglio comunale furono trasferite al podestà, nominato con regio decreto per cinque anni e in ogni momento revocabile. Nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti il podestà poteva essere affiancato da uno o due vice-podestà (a seconda che la popolazione fosse inferiore o superiore a 100.000 abitanti), nominati dal Ministero dell’Interno. Il podestà era inoltre assistito da una consulta municipale, con funzioni consultive, composta da almeno 6 consultori, nominati dal prefetto o, nelle grandi città, dal Ministro dell’Interno.
Un’ultima considerazione. Ancora nei giorni scorsi, a Follonica, una signora è morta dopo aver mangiato (probabilmente la classica salamella) alla locale festa del Partito Democratico. La notizia è straziante. Ma se scegliere di andare alla festa del Partito Democratico è già un dramma, consentire che il Partito Democratico faccia la festa all’Italia sarà un’ecatombe.
E a proposito. Follonica è in provincia di Grosseto, la stessa città dove è nato il podes… scusate, il prefetto Gabrielli.
Il 30 ottobre del 1922, dopo la marcia su Roma di alcune migliaia di militanti fascisti, il re Vittorio Emanuele III cedeva alle pressioni della piazza nera affidando a Benito Mussolini la presidenza del Consiglio.
Secondo i nostalgici si tratta del prologo della “rivoluzione fascista”: un evento che avrebbe consegnato all’Italia un ventennio di abiezione, la deportazione nei campi di sterminio dei cittadini di religione ebraica e degli oppositori del regime, l’annullamento di qualunque garanzia democratica e i milioni di morti della seconda guerra mondiale.
Si tratta, in effetti, di un periodo storico talmente cupo e scellerato che, nel corso del tempo, dopo aver dato una mano di vernice patriottica sui valori della Resistenza con l’obiettivo di annullare i valori di giustizia sociale che l’avevano animata, le narrazioni impegnate nel racconto e nell’analisi del fascismo hanno finito per rinchiudere gli anni di Mussolini all’interno di un paradigma dominato dall’eccezionalità: una parentesi senz’altro sconvolgente ma, a causa delle particolari condizioni che provocarono l’emersione del fenomeno, senz’altro irripetibile… ma è ancora possibile, oggi, accettare una simile visione delle cose?
Il 16 febbraio del 2014, Giogio Napolitano, nella veste di presidente della Repubblica, senza che il suo atto fosse suffragato da una qualche forma di consenso elettorale, prendeva atto della sfiducia ricevuta da Enrico Letta dalla direzione del suo Partito e conferiva l’incarico di formare un nuovo governo a Matteo Renzi, classe 1975, famoso per aver guidato un movimento detto “dei rottamatori” all’interno del Partito Democratico e per i discorsi pronunciati in manica di camicia… bianca: una sorta di divisa informale, da quel momento in poi adottata immancabilmente da tutti i sostenitori dell’ex sindaco di Firenze, non a caso detti “renziani”.
Se il vecchio Napolitano, novello Vittorio Emanuele III, guadagnava il soprannome di “Re Giorgio” grazie a un decisionismo più consono al vecchio regno d’Italia che non a una vera repubblica parlamentare, gli atti del nuovo governo Renzi non sono da meno e, immediatamente, si caratterizzano per un approccio a dir poco insofferente rispetto a quanto previsto dagli stessi dettami costituzionali.
In modo particolare, il governo Renzi si distingue per l’uso massiccio e disinvolto dello strumento del decreto legge: un dispositivo a cui l’articolo 77 di quel pezzo di carta straccia una volta chiamato Costituzione affida il ruolo di avere «effetto di legge» in frangenti di particolare necessità e gravità. Al contrario, e quindi contravvenendo alla stessa Costituzione, Renzi e i suoi ministri aggrediscono a colpi di decreti qualunque settore della vita pubblica e civile: dal lavoro, grazie al Jobs Act firmato da Poletti (DL n. 34 del 20 marzo 2014), alla cultura, con il decreto di Franceschini (DL n. 83 del 31 maggio 2014), fino ad arrivare alla casa grazie all’«interessamento» dello spietato Maurizio Lupi, oggi costretto alle dimissioni e sostituito dal fedelissimo di Renzi Graziano Delrio a causa del suo coinvolgimento in una brutta storia di tangenti e raccomandazioni, eppure confermato a suo tempo alle Infrastrutture e ai Trasporti anche dopo la defenestrazione di Enrico Letta.
Fatto passare con il tranquillizzante nome di «Piano-casa», il Decreto Lupi (DL n. 47 del 28 marzo 2014) reca il titolo di Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015 e, pur considerando: «L’attuale eccezionale situazione di crisi economica e sociale che impone l’adozione di misure urgenti volte a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto», e: «La necessità di intervenire in via d’urgenza per far fronte al disagio abitativo che interessa sempre più famiglie impoverite dalla crisi e di fornire immediato sostegno economico alle categorie meno abbienti che risiedono prevalentemente in abitazioni in locazione», finisce per sferrare un attacco senza precedenti a chi, nel corso degli anni, ha rappresentato l’unica, vera risposta al disagio abitativo, vale a dire i Movimenti per il Diritto all’Abitare. In che modo?
La pietra nello scandalo è contenuta nell’articolo 5. Dove, alla voce «Lotta all’occupazione abusiva di immobili», si afferma senza mezzi termini che: «Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge». Tradotto in parole semplici, Lupi e il suo decreto pretendono di spingere nell’invisibilità e di escludere da ogni forma di welfare chiunque abbia preso parte a un’occupazione abitativa e/o viva in una casa occupata. Al di là dei previsti distacchi di acqua e luce, misure contrarie ai più elementari diritti umani più che agli stessi diritti politici di qualunque cittadino, privare una famiglia della residenza, nei fatti, rende impossibile anche produrre i semplici certificati Isee e, di conseguenza, rende impossibile, o comunque molto difficile, iscrivere i bambini alle scuole. Ancora, senza residenza, si incontrano difficoltà nell’accedere ai servizi di medicina di base e, essendo questa parametrata su base circoscrizionale, priva persino dell’assistenza domiciliare i disabili che ne hanno diritto. Una vera e propria operazione di macelleria sociale, insomma. Resa ancora più crudele dagli articoli 3 e 4, con cui si facilità lo smantellamento dell’edilizia residenziale pubblica attraverso la messa in vendita degli stessi alloggi popolari che il decreto pretenderebbe di tutelare!
Con la conversione in legge del Decreto Lupi, il governo Renzi, tra le altre cose, si assume la responsabilità storica di andare a infrangere persino la Dichiarazione universale dei diritti umani; uno di quei pezzi di carta – sottoscritto in pompa magna a Parigi nel 1948 – spesso sbandierati di fronte all’opinione pubblica se si tratta di vantare la presunta superiorità occidentale o, magari, di “esportare” la democrazia a suon di bombe, ma che nell’Italia guidata dal Partito Democratico è contraddetto senza mezzi termini. Come viene affermato dall’articolo 25 della Dichiarazione, infatti: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo (…) all’abitazione”.
Eppure, se il governo Renzi ha avuto modo di svelare la sua vocazione liberticida anche sui provvedimenti che sono andati a interessare settori nevralgici come la Scuola e la Legge Elettorale, la natura apertamente fascista della legge sulla Casa è confermata dalla vergognosa continuità storica tra il Decreto Lupi e la famigerata Legge 1092 del 6 luglio 1939, comunemente detta «legge contro la residenza» o «contro l’urbanesimo», che, nei fatti, aveva trasformato gli immigrati italiani in soggetti privi di qualunque diritto – dalla possibilità di iscriversi alle liste di collocamento a quella di ricevere assistenza sanitaria, fino all’esclusione dalle liste elettorali – e, per questo, esposti a qualunque ricatto anche in tema di salario e condizioni lavorative.
Come tante altre cose, la legge contro la residenza, non soltanto non venne abolita dal nuovo regime democratico, ma rappresentò una sorta di leva con la quale fare della povertà, più che una questione sociale, un problema di ordine pubblico. In questo modo, chiunque si fosse trovato a vivere una condizione di emergenza abitativa veniva semplicemente fatto sparire, smettendo, grazie al provvedimento, di esistere dal punto di vista legale e, di conseguenza, di non poter pretendere un giusto compenso da parte del datore di lavoro né di rivendicare il diritto alla casa.
Una situazione scandalosa, una vera e propria ferita aperta nel paesaggio democratico italiano ma anche, in passato, il territorio sul quale fu possibile cogliere un’importate vittoria. Il 10 febbraio del 1961, infatti, dopo anni di lotte e mobilitazioni che non mancarono di costare denunce penali e feriti in piazza, veniva finalmente abrogata la norma fascista che limitava il diritto alla residenza. Fu un successo epocale e testimoniò una maturità politica che, ancora oggi, merita di essere sottolineata. Che fosse possibile, infatti, condurre in porto una battaglia unitaria ricomponendo all’interno di un interesse di classe le spinte centrifughe che, strumentalizzando la paura della concorrenza tra lavoratori, ostacolavano, anche da sinistra, la liberalizzazione delle residenze, era un fatto tutt’altro che scontato. Per arrivare a tanto, evidentemente, fu determinante la spinta delle proteste popolari, ma anche l’intelligenza e la perseveranza di alcuni tra i migliori dirigenti del Partito Comunista e delle associazioni collegate alla sinistra istituzionale. Oggi, che con l’articolo 5 del Decreto Lupi si torna a calcare i passi già seguiti dal fascismo, abrogando il principio della libertà di residenza conquistato a prezzo di lotte molto dure, lo si fa con un governo guidato dal Partito Democratico, ma anche con l’indegno silenzio delle stesse associazioni egemonizzate dal PD, a cominciare dall’Anpi, a cui in passato l’identico provvedimento aveva fatto orrore.
Parliamo, evidentemente, di altri tempi e di personaggi di ben altra caratura morale rispetto alle mistificazioni odierne. Ma, allo stesso tempo, descriviamo una situazione in cui l’impostazione dittatoriale del governo Renzi riesce, grazie all’azione di polizia, ad arrivare anche dove i poteri locali sono costretti a cedere di fronte allo scandalo di famiglie lasciate senza acqua e senza luce dalla legge formulata dall’inquisito ex ministro Maurizio Lupi.
Da questo punto di vista, un altra data da segnalare sul calendario dell’orrore è quella del 7 luglio del 2014 quando, a Bologna, si apprende dell’apertura di: “Un’inchiesta contro il riallaccio dell’acqua all’occupazione abitativa di via Mario de Maria ordinata dal sindaco Merola lo scorso 23 aprile”; una situazione resa ancora più grave, come denuncia in un comunicato la bolognese Assemblea Occupanti e Comitato Inquilini Resistenti con Social Log, dal fatto che: “Solo poche settimane fa anche la vice-presidente Gualmini della regione Emilia Romagna, a seguito di un tavolo di contrattazione sulle nostre istanze di lotta, ha garantito pubblicamente l’indisponibilità a recepire l’articolo 5 all’interno del piano casa regionale”.
Ciò che accade è che anche dove, a livello locale, si tenta una mediazione istituzionale rispetto alle contraddizioni aperte dalla legge nazionale, è il potere centrale a intervenire in senso oltranzista, sbandierando un ridicolo vessillo di “legalità” e affidando il ripristino dell'”ordine” alla magistratura e alla polizia. Non è facile evitare di vedere in un simile modo di procedere, oggi particolarmente evidente nel caso bolognese, una strategia da intendere come prassi del governo Renzi: ridurre gli organi del potere periferico a puri fantocci, dominati nei fatti da magistrati, prefetti e poliziotti scelti con cura tra i fedelissimi del Partito della Nazione e quindi piazzati nei posti ritenuti “giusti” dal nuovo Duce fiorentino.
Alla luce di simili considerazione, i valori dell’antifascismo trovano una compiuta necessità di dispiegarsi in forma diretta contro il Partito Democratico e le sue articolazioni. Mentre alle donne e agli uomini del PD ancora ciechi e sordi di fronte agli abusi compiuti da Renzi e dai suoi sgherri, ciechi e sordi di fronte al livello di violenza antipopolare di cui questo governo è colpevole; agli uomini e alle donne ancora organizzate all’interno di un Partito Democratico responsabile di scadere nell’abominio, insieme all’onta di essere detti senza mezzi termini fascisti e trattati come tali, non può che essere rivolto in forma di maledizione quanto scritto da Antonio Gramsci già nel 1917: “Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva (…). Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. (…) Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Senza tregua contro il Piano-Casa a Bologna. Nella città delle Torri, il Social Log, negli spazi della Ex Telecom occupata (via Fioravanti 27), organizza una quattro giorni dedicata alle contrapposizioni sociali alla crisi e al governo Renzi, affrontando temi come la sovranità alimentare (18 giugno), le grandi opere e lo Sblocca Italia (19 giugno) e i diritti dell’infanzia (21 giugno).
SABATO 20 GIUGNO l’attenzione è rivolta alla casa e ai fenomeni di riappropriazione che hanno consentito, negli ultimi anni, a migliaia di famiglie di riprendersi il diritto ad avere un tetto sopra la testa. Senza tregua contro il Piano-Casa, dunque: dalle 18:30 presentazione del libro “La Scintilla, dalla Valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa” insieme all’autore Cristiano Armati e ai compagni e alle compagne di #RomaSiBarrica.
A seguire presentazione e proiezione del Web Doc “4stelle hotel” dedicato ad una delle più grandi occupazioni abitative romane. A introdurre e raccontare il web doc ci saranno con noi i protagonisti di questa straordinaria esperienza di riappropriazione. Dopo i dibattiti e le presentazioni cena meticcia e grigliata. Dalle 21 musica by Calibro 7 Pollici
BOLOGNA, giovedì 4 giugno: Il BITT-Batti il tuo tempo festival e Agenxia X presentano la prima edizione della Piazza Letteraria, un evento libero e gratuito dove prenderanno parola più di 50 tra scrittori e scrittrici, musicist*, teatranti, studenti e studentesse, poeti, attori e attrici, dj’s, rapper in performance/reading di 10-15 minuti.
Lo Slam-x in salsa bolognese si svolgerà in due vicine e diverse location della zona universitaria bolognese: dalle 19:00 alle 00:30 in Piazza Verdi, dove si accavallano ogni giorno lingue e dialetti differenti, si alterneranno readings, voci, incursioni teatrali/poetiche, in un unico flow meticcio che compone la Bologna di ieri e di oggi. Dalle 23.30 lo spettacolo si trasferisce nella facoltà di Lettere al civico 38 di via Zamboni, per continuare con i reading e poi dare spazio alla musica con tanti/e dj’s “Bolo All Stars”, dove ci saranno i banchetti delle case editrici indipendenti come Agenzia X, Red Star Press e Bebert e quelli delle librerie bolognesi Modo Infoshop e Trame.
In caso di maltempo il tutto si svolgerà in via Zamboni 38.
> Letture/performance/voci/suoni con:
Pino Cacucci (scrittore) + Wu ming contingent (musicisti) & Marco Philopat (scrittore) – Manlio Benigni (giornalista) – Sante Notarnicola (poeta) – Giorgio Canali (cantante) – Angela Baraldi (cantante) – Suz – (cantante) – Duka (scrittore) – Sigaro (cantante “Banda Bassotti”) – Yari Salvatella (scrittore) – Alberto Masala (poeta) – Moreno Spirogi (cantante de “Gli Avvoltoi”) – Gianluca Morozzi (scrittore) – Enrico Palandri (scrittore) – Riccardo Balli (dj e scrittore) – Dies (rapper) – Alessandra Mostacci (musicista “Freak Antoni Band”) – Loriano Macchiavelli (scrittore) – Sergio Rotino (fine dicitore) – Simona Sparago (scrittrice) – Andrea Topot (precario) – Bifo (scrittore) – Helena Velena (scrittrice) – Cristiano Armati (scrittore) – Gianpiero Rigosi (scrittore) – Andrea Di Carlo (scrittore) -Massimo Vitali (scrittore) – Alberto Sebastiani (giornalista/scrittore) – Massimo Vaggi (scrittore) – Dimore in Movimento (gruppo teatrale indipendente) – Alessandro Berselli (scrittore) – Mimmo Crudo (musicista Parto nuvole Pesanti e OndAnomala) – Marco Martucci (scrittore) – Enzo Minarelli (poeta) – Alberto Bertoni (scrittore) – Gennaro Suano (cantante degli Smania Uagliuns) – Marcello Fois (scrittore) – Matteo Iammarrone (cantautore) – Moder (rapper) – Mc Nill (rapper) – Willy Peyote (rapper) – Giovanna Bandini (scrittrice)… e tanti altri!
> A seguire (IL)LETTERATO PARTY @ via Zamboni 38
• 1 Stage: Sor Braciola & Arsenale Diggei (Internazionale Trash Ribelle), Rebecca Wilson (electro), Big Mojo (Electro Blues) and more…
• 2 Stage: Bandolero Movement & Friends (reggae/jungle/dub)
Chi dice che ogni protesta è legittima purché “si esprima civilmente” intende dire che per conservare i propri privilegi è disposto a tutto, anche a spaccare la testa a manganellate a una ragazzina.
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Bologna, 3 maggio 2015: dopo le polemiche sulle “violenze” nel corso della manifestazione No Expo di Milano, la polizia carica violentemente un gruppo di manifestanti, decisi, in occasione della visita di Matteo Renzi, ad esprimere tutto il proprio dissenso contro la guerra ai poveri promossa dal governo del Partito Democratico e, in modo particolare, contro la terrificante riforma chiamata “Buona Scuola” dagli esperti del marketing assoldati dal PD.