Zagrebelsky: più sì che no

Enrico Mentana organizza in diretta televisiva un dibattito tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky in vista del referendum costituzionale previsto per il 4 dicembre. Al giurista, e alle sue noiose argomentazione di ordine storico-legalitario, viene affidato il compito di rappresentare il NO e le sue ragioni. Stranamente, però, io non ricordo di aver mai delegato Zagrebelsky affinché rappresentasse il mio NO (cioè, neppure ricordo di aver mai delegato…), e a dire la verità, neanche conosco qualcuno che lo abbia fatto: nessun senza casa, nessuno studente, nessun precario, nessun disoccupato, nessun operaio: nessuno. E allora, se ieri sera c’era Zagrebelsky a rappresentare questo NO, e se in assoluto è questo il NO che viene rappresentato, o è di due NO diversi che stiamo parlando o Zagrebelsky è stato Renzi a portarselo da casa.

Ladri di bambini

Nessuno sa, o tutti fanno finta di non sapere, come la pratica di sottrarre i bambini Rom ai genitori ha radici antichissime. Un’infamia che nel passato procurava ai bravi cattolici schiavi da sfruttare nel lavoro dei campi e schiave-bambine utili al lavoro domestico e/o ai letti dei padroni. Il tutto, in modo simile a quanto accaduto anche per i bimbi ebrei, garantito da un sistema legale capace di coprire questi rapimenti, spacciandoli di volta in volta come “conversioni” o come misure utili a fronteggiare il “vagabondaggio”. L’opinione pubblica appoggiava (vale la pena usare il passato?) senza problemi simili misure, tanto i Rom quanto gli ebrei d’altronde venivano tranquillamente – e ovviamente falsamente – accusati di essere loro a rapire i bambini, magari per berne il sangue.
Grazie al profondo razzismo in cui siamo immersi, sottrarre un bambino a una famiglia Rom, ancora oggi, non solo è possibile, ma è anche una pratica molto meno rara di quando ci si possa immaginare. Ed è così che una coppia qualunque di nonni in automobile con il nipotino può ritrovarsi – come accaduto sulla Salaria, all’altezza di Amatrice, subito dopo il terremoto – prima agli arresti e poi privata della custodia del bimbo.
In genere si tende ad alzare le spalle di fronte a storie simili, ma che sia pieno di gente che fa schifo è cosa nota. Meno nota è un’altra grande legge della repressione. Una solida catena di stereotipi, infatti, unisce i soggetti di volta in volta definiti “negri”, “froci”, “drogati” o “comunisti” e così, quello che fanno oggi ai Rom o ai migranti, viene o verrà utile quando meno ce lo si aspetta per colpire proletari e/o chiunque alzi la testa. Basta trattare chi si vuole colpire come “persona socialmente pericolosa” e il gioco è fatto. Tanto la legge, si sa, non ha bisogno di alcuna giustizia – e neppure di “prove” – per essere applicata.

Kurdistan e lotta di classe

Nella querelle, direi minoritaria (per usare un eufemismo) a livello di penetrazione sociale del dibattito pubblico, che in questi giorni, a partire da un comunicato del Comitato No Nato e della Rete No War, sta spingendo alcuni osservatori ad attaccare da sinistra, al grido di «servo degli americani» o quasi chi esprime la propria solidarietà nei confronti della lotta del popolo curdo, mi colpisce soprattutto una cosa. E non mi riferisco al merito di particolari visioni geopolitiche dell’universo conosciuto e sconosciuto, né al problema della loro pertinenza, ma al vezzo di definire “moda” quella che sarebbe solo una momentanea infatuazione pro-curda. Chiamare “moda” il consenso alla causa curda, infatti, cancella come se non fosse mai esistito il lavoro di lunga durata portato avanti tra mille difficoltà dai militanti del Pkk e nega la capacità e la pazienza con la quale da tempo immemorabile uomini e donne curde si sono preoccupati di essere parte attiva in tutti i luoghi in cui il discorso sul Kurdistan è risultato pertinente rispetto all’analisi delle molteplici problematiche nazionali e internazionali prodotte dall’imperialismo. Quello che ha fatto il Pkk, in sostanza, e al netto di tutte le contraddizioni di volta in volta riscontrate sul campo, è stato preoccuparsi di esistere sulla base di un seguito materiale, e non soltanto in virtù di una proiezione analitica o ideologica. Chiamare “moda” tutto questo, non solo nega la specificità della lotta curda, finendo per attribuirla a una sorta di congiuntura eterodiretta, cosa che è come minimo falsa, ma fa emergere tutti i limiti di una sinistra che rischia di rivelarsi ontologicamente incapace di ancorare le proprie posizioni a una base sociale diversa da quella che è possibile creare limitandosi ad animare guerre di comunicati o polemiche su facebook.

Beh, per fortuna che ieri in piazza, alla manifestazione per il Kurdistan organizzata a Roma, tra le circa diecimila persone che hanno sostenuto e sostengono il Rojava, una netta maggioranza era distinguibile, oltre che per una chiara connotazione di classe, anche per il fatto di essersi già impegnata e per continuare a impegnarsi nel contrastare le campagne condotte ai danni di Serbia, Libia, Siria, Palestina e di ogni altra parte del mondo di volta in volta descritta come «cattiva» dalle narrazioni main stream, nella convinzione, che quando a comandare sono i profitti, “vostre sono le guerre / nostri sono i morti”. Queste stesse persone hanno arricchito il corteo con parole d’ordine inerenti la questione delle abitazioni e il diritto allo studio, l’antifascismo e l’antissessismo, la disoccupazione e lo sfruttamento sul lavoro, la libertà d’espressione e quella di movimento. Pare che moltissimi di questi manifestanti, tra l’altro, non sapessero nulla di geopolitica (tra i proletari presenti, alcuni non sarebbero neanche capaci di leggere o di scrivere), ma che tutti e tutte, all’occorrenza, fossero in grado di serrare i ranghi in un picchetto, resistere a uno sgombero e a uno sfratto o muoversi in corteo selvaggio: l’abc della lotta di classe – vale a dire l’unico luogo da cui, ogni volta che si parla di antimperialismo, bisognerebbe essere capaci di ricominciare.

Higuaín alla Juve e la Lingua del Nemico. Ovvero come dire NO alle olimpiadi, non sentire ragioni e vivere felici sapendo di essere nel giusto.

Sul finire dell’estate, come faccio in quasi tutti i giorni dell’anno la mattina prima di iniziare a lavorare, mi trovavo in un bar come ce ne sono tanti nella periferia romana e che, come tanti altri nella periferia romana, “bar” fa solo di nome, mentre di cognome si chiama “della coltellata”; versione locale di ciò che il marketing è già riuscito a sporcare, mandando in televisione tonnellate di spot che per vendere un superalcolico vantano la sua abituale presenza «nei peggiori bar di Caracas». Continua a leggere Higuaín alla Juve e la Lingua del Nemico. Ovvero come dire NO alle olimpiadi, non sentire ragioni e vivere felici sapendo di essere nel giusto.

Il successo “democratico” del Fertility Day

Ma davvero siamo convinti che quella del Fertility Day, con il suo sfoggio di valori a dir poco oscurantisti, possa essere archiviata alla voce “campagna di comunicazione pubblica fallita” e irrisa al grido di “epic fail”? O non è vero, piuttosto, che la Lorenzin, per conto del governo Renzi, è riuscita grazie a quei ridicoli – ma apertamente sessisti – manifesti con la clessidra e ai grotteschi – ma apertamente razzisti – opuscoli con i neri impegnati a fumare erba, a parlare con tutto quel mondo compreso tra le sfilate delle sentinelle in piedi e le adunate stile family day? Lo stesso mondo che in una regione come il Veneto è già riuscito – attenzione: è già riuscito! – a far ritirare dalle biblioteche scolastiche libri accusati di propagandare l'”ideologia gender” e che se arriva, con alcune sue propaggini, anche ad aggredire e uccidere gay e migranti (la relazione tra eventi squadristi e adunate delle sentinelle in piedi è ampiamente dimostrabile), si organizza ovunque, riempiendo le parrocchie, i bar di quartiere e le farmacie, di volantini inneggianti la “sacralità” della famiglia tradizionale (capita solo a me di vedere simile materiale, unito graficamente alla campagna della Lorenzin dallo stesso stile da pubblicazione dei Testimoni di Geova?). In breve, sono convinto che alla Lorenzin e al governo Renzi della “fertilità” freghi davvero poco e niente. Più importante, per loro, è continuare a scavare sempre più a destra nel tentativo di dare una base materiale al residuale consenso di cui godono. Il risultato, nel caso del Fertility Day, non riguarda semplicemente un concetto deformato e deformante di “salute”, ma ha a che fare con il tentativo di organizzare un nuovo movimento reazionario di massa. E da questo punto di vista, ricordando come la prima vittima dei regimi fascistoidi – e il governo del Partito Democratico non fa eccezione – sia sempre il senso del ridicolo, mi spiace constatare come il Fertility Day debba essere considerato un tentativo compiutamente riuscito.

Campobasso: ricordiamo Valerio Marchi

CAMPOBASSO – 16 settembre 2016 – c/o BRICKOUT (Via Garibaldi 177)

VALERIO, IL TUO SAPERE LA NOSTRA VITA: ricordiamo Valerio Marchi, sociologo e fondatore della celebre “Libreria Internazionale” di San Lorenzo, skinhead, ultrà della Roma, fratello dei ragazzi di strada.

ore 17.30 interverranno: Cristiano Armati e Roberto Gagliardi – Presentazione catalogo Redstar Press/Hellnation dedicato alla persona di Valerio Marchi.
ore 22.30: TACITA Live (Roma Street Rock) – presentazione del primo cd “OLTRE IL MURO”.

SERATA BENEFIT PER LE “BSA MOLISE” CHE AGISCONO SULLE ZONE TERREMOTATE

La parola che non muore: Armati a Civita di Bagnoregio (Viterbo)

Civita di Bagnoregio ospita per tre giorni, dal 30 settembre al 2 ottobre, un evento culturale che ha al centro della sua ragione di essere la parola.

La lingua e la cultura in cammino

Si tratta di un festival che in realtà coinvolge altri tre festival che si svolgono nel Lazio, nelle Marche, in Umbria e in Toscana, con i quali è gemellato tramite un percorso comune condiviso: la lingua e la cultura in cammino. L’idea è quella di trasmettere l’origine, l’importanza e l’evoluzione della parola mediante differenti significati a partire da quello geografico, il cui riferimento va alle 4 regioni coinvolte che non a caso sono quelle che hanno visto affiorare le prime testimonianze dei volgari italiani, fino a quello evolutivo espresso in diverse dimensioni (da una lingua all’altra, dalla scienza alla letteratura, dal presente al futuro, dal manoscritto alla stampa, la poesia e la musica, il cinema e il teatro, la letteratura e il cinema, ecc.) proposte nei singoli eventi del festival stesso.

Sabato 1 Ottobre – ore 18.15
Civita in giallo
Cristiano Armati, Enrico Luceri, Sabina Marchesi, Paolo Roversi, Milano criminale, Roma criminale e i delitti di provincia: le diverse radici del male. Conduce Fabio Mundadori

Fontesanta 2016 – Brigata Sinigaglia sempre presente!

Brigata Sinigaglia sempre presente!

FONTESANTA 2016 – Brigata Sinigaglia…. Sempre Presenti!

C’è chi decise di tradire mettendosi al servizio dell’occupante nazista e di repubbliche fantoccio complici dei peggiori eccidi che la nostra storia ricordi, di torturare, di sparare dai tetti della nostra città contro civili inermi. C’è chi decise di combattere per la libertà e la giustizia, per l’uguaglianza, in clandestinità, nelle città come nei boschi, convinto che solo assumendosi il peso della lotta si può sperare, oggi come ieri, in una società migliore. Abbiamo raccolto il loro testimone e al loro fianco continueremo a camminare verso la libertà.

# DOMENICA 11
ore 10.00 Appuntamento al Cippo del Balena
ore 11:00 Presentazione del lavoro di inchiesta di Cristiano Armati Autore di numerosi lavori editoriali sul neofascismo
ore 13:00 Pranzo della Brigata Sinigaglia

San Basilio (Roma): narrazione storica dal basso

San Basilio: Narrazione storica dal basso

SABATO 10 SETTEMBRE h.18 @ CASALE ALBA 2:
Presentazione del progetto di memoria storica e dell’opuscolo “San Basilio, storie de Roma”: QUALI ESPERIENZE E QUALI PROSPETTIVE PER LA NARRAZIONE STORICA DAL BASSO?

Ne parliamo con:
– Quarticciolo – Storia di una borgata, progetto di narrazone storica dal basso della resistenza al Quarticciolo, zona est di Roma, con i ragazzi delle scuole nel quartiere
– Ribelli in Zona Universitaria, progetto di public history attivo nella Zona Universitaria bolognese, a cura del Collettivo Universitario Autonomo Bologna
– Comitato Certosa
– Centro di Documentazione Territoriale Maria Baccante – Roma Est
– Cristiano Armati, scrittore
– Luciano Villani, storico

A seguire Amatriciana solidale a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma – il ricavato verrà devoluto alle Brigate di Solidarietà Attiva – Terremoto Centro Italia. Subito dopo il terremoto si è messa in marcia la solidarietà dal basso che ha portato alla costruzione di un campo base ad Amatrice grazie all’impegno dei cittadini colpiti dal sisma, delle Brigate di Solidarietà Attiva e degli attivisti e le attiviste degli spazi sociali di Roma e di tutto il Paese. In questi giorni è attivo uno spaccio che sostiene soprattutto chi ha deciso di non lasciare i propri paesi e si trova al di fuori dei campi della protezione civile. Durante la serata sarà disponibile materiale informativo.

info e contatti: www.progettosabasilio.org
progettosanbasilio@inventati.org

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Programma completo:
https://www.facebook.com/events/914696475340421/
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Il progetto “San Basilio, storie de Roma” si sviluppa a partire da alcune realtà del territorio che cercano di ricostruire, attraverso la ricerca storica e la sua riattualizzazione, la storia di una borgata simbolo della città di Roma.
Il progetto nasce come iniziativa di commemorazione della morte del giovane Fabrizio Ceruso e della “Battaglia” di San Basilio nel 1974. Nei primi giorni di settembre di quell’anno, al termine di un ciclo di lotta per la casa che portò all’occupazione di migliaia di stabili in città, a S. Basilio la polizia intervenne per sgomberare 150 famiglie che da più di un anno avevano occupato alcuni appartamenti IACP in via Montecarotto. Il quartiere visse giorni di dura resistenza dagli assalti delle forze dell’ordine, durante i quali, l’8 settembre, Fabrizio venne ucciso dal fuoco della polizia.
A partire da questo episodio è sorta l’esigenza di riscoprire la memoria collettiva ormai insabbiata, quando non cancellata, e farla rivivere non come rito di consuetudine ma come strumento di organizzazione di una comunità per affrontare bisogni, problemi e contraddizioni più che mai attuali.
Il progetto, nel suo piccolo, costituisce un tentativo di narrazione della storia pubblica (public history) dal basso, ovvero la storia applicata e diffusa al di fuori degli ambiti tradizionali, in grado di utilizzare diversi linguaggi e strumenti per raccontare, e soprattutto far raccontare, la storia da e per contesti diversi dal mondo accademico. Questo approccio consente di analizzare il giacimento storico di un territorio e/o di una comunità locale, quasi sempre assente dalla storiografi a ufficiale, e di far emergere il suo patrimonio immateriale di memorie, traducendole in iniziative pratiche per la sua conoscenza.
La narrazione della storia dal basso è una pratica per nulla scontata. In tal senso il caso di Ceruso a San Basilio è emblematico, come chi “scriva” materialmente la storia, ovvero i gruppi di potere dominanti, operi un sistematico svuotamento delle memorie collettive all’interno della società, specialmente in relazione ad episodi di particolare rilevanza come la rivolta del settembre 1974.
Rimozione attuata sia attraverso i mass media, veri artefici della (de)costruzione dell’immaginario collettivo, sia attraverso l’odierna mercificazione e massificazione di tutti gli aspetti culturali e scientifici, non ultima proprio la storia. Il mondo accademico, ipotetico custode del sapere storico in tutte le sue forme, è sempre più lontano dalle istanze sociali e sempre più attento alle esigenze del mercato. In questo senso, raccontare la storia dal basso può assumere un valore importante, sia per recuperare e restituire al sapere collettivo aspetti che fanno indelebilmente parte della propria identità, sia come metodo sperimentale di narrazione storica.
Da questi spunti abbiamo cercato di ricostruire la storia delle borgate romane, e di San Basilio in particolare, evidenziando la reazione con cui quella comunità si oppose alla sottrazione di bisogni primari, in primis quello della casa ma non solo. Non si tratta di idolatrare una realtà che, di certo, presentava mille problemi e contraddizioni. Si tratta piuttosto di interrogarsi sull’interpretazione delle condizioni di degrado e sfruttamento e sulle soluzioni prospettate; sull’obiettivo verso cui indirizzare, e in quali modalità, la giusta rabbia che esplode quando viene lesa la dignità popolare.
Si tratta, in altre parole, di porsi alcuni interrogativi: che ruolo svolge la storia della città di Roma, e soprattutto delle sue borgate, in relazione a esplosioni di rabbia popolare così marcati? Come è possibile trovare una chiave di riattualizzazione di quegli avvenimenti? Come può essere possibile tracciare una linea tra eventi di più di 40 anni fa ed oggi?

Esposito: il lato oscuro della mediocrità

La guerra allo Stato Islamico infuria. Ma mentre la solidarietà internazionale dà il suo prezioso contributo alle Unità di Protezione Popolare (Ypg) grazie alla generosità di compagni e compagne di tutto il mondo e quindi anche italiani, il piddino Stefano Esposito non ha nulla di meglio da fare che prendersela con un centro sociale torinese: “Comunque Askatasuna va sgomberato – ha dichiarato il famigerato sìtav – è un luogo opaco dove la pratica violenta è il primo comandamento. Lo dico da anni e lo confermo oggi”.
Il senatore Esposito è uno che ha coperto le molestie sessuali subite da una compagna in Val di Susa, figuriamoci se può essere in grado di dire una cosa appena passabile – o meglio, di stare zitto – su ciò che accade in Rojava o su chi combatte in prima linea l’avanzata fascista. Il problema però non è né l’intelligenza di un personaggio come Esposito, né la responsabilità oggettiva di una dichiarazione che lo pone con l’Isis dalla stessa parte della barricata, né la sua caratura morale – pari a zero. Il problema è che selezionando, valorizzando ed esaltando gli Esposito, si seleziona, valorizza ed esalta quel lato oscuro della mediocrità tipico dei regimi. Cosa, infatti, se non il senso del ridicolo, è la prima vittima del fascismo? Per questo Esposito è il degno prodotto del renzismo che, sulla scia del ventennio berlusconiano, segna un’altra tappa lungo quella strada che, in attesa di definizioni migliori, propongo di chiamare “come si (ri)diventa fascisti”.

Esposito e i marò