Tanti discorsi sulla libertà di espressione e il diritto alla critica sono improvvisamente svaniti nel nulla. “Colpevole” della grande amnesia collettiva seguita al delirio securitario andato in scena a Milano dopo il primo maggio, un po’ di sana street art e un pugno di artisti concordi nel definire Expo per quello che è: una truffa in grande stile, rappresentabile attraverso le centinaia di sfumature di cazzo prescelte dagli autori chiamati a raccolta da Guerrilla Spam & Hogre per demistificare la retorica renziana del grande evento.
I politici che credevano di potersela cavare con due spicci per parlare di riqualificazione urbana, scoprono l’acqua calda. E cioè che l’arte non è nata per arredare la tavola dei potenti. E che la street art appartiene ai vandali: gli eternamente infamati, spesso arrestati, a volte oggetto di colpi di pistola esplosi dalle guardie contro di loro… sono sui muri alla stessa maniera in cui i “teppisti” sono per le strade. Anche la circostanza è la stessa: parliamo sempre del primo maggio; e il comune di Milano, mentre patrocinava la rimozione delle scritte “Carlo Vive”, comparse dopo il passaggio della manifestazione, provvedeva anche a “ripulire” la città dalle opere su cui troneggiava forte e chiaro il motto “No Expo”.
Se mai ce ne fosse stato bisogno, ecco dimostrata tutta la pretestuosità dei discorsi contro la “violenza” del corteo del primo maggio. E così come non esistono manifestanti buoni e manifestanti cattivi, non è neppure vero che esiste un modo “civile” di esprimere il proprio dissenso. Tutto ciò che colpisce nel segno, infatti, viene ridotto al silenzio e censurato.
D’altronde, se non viene diffamata e oscurata, che protesta è?