Stiamo con la Grecia che dice NO.
Ma cosa succede davvero quando si dice NO?
Si è detto e si continua a dire NO in Val di Susa, per opporsi alla devastazione dell’Alta Velocità. E il risultato è stata la costruzione di un movimento di massa protagonista di una moltitudine di assalti ai cantieri della speculazione, episodi contraddistinti da generosità e coraggio, ma anche severamente puniti dall’apparato repressivo, attraverso leggi speciali e condanne esemplari. Per non parlare della violenza brutale della polizia.
Anche agli sfratti e agli sgomberi si dice NO. E si dice NO da tanto tempo, tutte le mattine, all’alba, formando picchetti che si oppongono all’abominio di famiglie con bambini piccoli buttati in mezzo alla strada a calci in culo dalla polizia. C’è un intero movimento che, in tutta Italia, si organizza per affermare concretamente il diritto all’abitare e per riprendersi ciò che affaristi senza scrupoli rubano in tutti i modi possibili e immaginabili. Anche, tra l’altro, concedendo alla polizia la licenza di manganellare senza pietà e di esplodere lacrimogeni ad alzo zero. I giudici vengono dopo le botte, ma non sono meno generosi dei poliziotti quando si tratta di dispensare misure restrittive e anni di galera.
Ancora, si è sempre detto NO allo sfruttamento sul lavoro, ed esiste la ferma intenzione di continuare a farlo. Insieme ai lavoratori della logistica, per esempio. Buttandosi sotto le ruote dei TIR quando si tratta di scioperare e ottenere il blocco delle merci. Resistendo ora e sempre alle feroci cariche della polizia…
Ecco: RESISTERE. Questa parola viene pronunciata raramente, eppure è di RESISTENZA che stiamo parlando quando si afferma la necessità di dire NO. Un NO senza RESISTENZA, infatti, non è una presa di posizione. Può essere un vezzo intellettuale, un modo per tenere buona la propria coscienza, un’opportunità per essere alla moda rispetto a idee di volta in volta assorbite dalla marea del politicamente corretto. Può essere tante cose un NO senza RESISTENZA. Perfino qualcosa di utile rispetto alla residua possibilità che ha l’opinione pubblica di influenzare scelte che vengono prese altrove… ma conta ancora qualcosa l’opinione pubblica?
Prendiamo una battaglia “democratica” come il referendum per l’acqua pubblica. La vittoria, teoricamente, ha arriso al NO alla privatizzazione, ma sono forse cambiate le cose? Oppure quel NO, spogliato dalla concretezza di una RESISTENZA, è stato bellamente ignorato da un processo di svendita dei beni pubblici che continua senza alcuna remora a violentare la volontà popolare?
E non è esattamente questo processo di svendita preteso dalle autorità economiche europee ciò che si sta mangiando la Grecia sempre più velocemente e che anche alle nostre latitudini non lascia alcuno spazio all’ottimismo?
La stessa situazione in cui è scivolato il governo Tsipras dopo aver acceso le speranze di molti, non sta dimostrando con la catastrofe economica scatenata dalle banche in Grecia come una reale alternativa vada organizzata prima di tutto sul piano materiale? Che non è una riforma o un accordo con i lupi della Troika ciò che risparmierà a interi popoli di sprofondare in quella barbarie così familiare alle bramosie del capitalismo?
Ma in ogni caso, se foste voi, qui o altrove, quei territori violentati dalle grandi opere inutili, dalle discariche e dalle trivellazioni; se foste voi quelle famiglie sfrattate o quei lavoratori ridotti alla fame, vi affidereste all’opinione pubblica? Sperereste in una riforma? Dareste importanza a qualche concessione padronale? E se oggi, in Grecia, fosse vostra la famiglia ridotta al prelievo massimo di 60 euro (i più fortunati!), quale credito sareste disposti a dare a un NO pronunciato altrove, con tanta indignazione, magari, eppure incapace di mettere in gioco alcunché?
La verità è che non è semplice sapere dove effettivamente inizi la Grecia. La Grecia è una metafora. E in molte case basterà alzare gli occhi verso lo scaffale dei libri e allungare una mano verso Omero o Platone per sprofondare in una cultura che è già nostra. Fuori da ogni metafora, però, la Grecia è ancora più vicina. Piange le lacrime dei bambini sfrattati ogni giorno e dei figli di chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena, vive le tensioni dei territori deturpati dalle grandi opere inutili e dannose o di un sistema-scuola ridotto al lumicino, manifesta lo scandalo del commercio di carne umana con i migranti accampati sugli scogli di Ventimiglia o, con i lavoratori della logistica, lotta senza tregua per rendere accettabile la propria condizione.
Non serve aspettare l’esito del referendum per schierarsi con la Grecia. Per strada, nelle piazze, le decisioni sono già state prese. La parola NO le riassume tutte.
Ma come sempre è stato sarà la RESISTENZA ad affermarle davvero mentre è nella RIAPPROPRIAZIONE che si nasconde il segreto di un’esistenza finalmente liberata dal ricatto della fame.
Tutto il resto sono chiacchiere che lasciano il tempo che trovano nel momento in cui, a servire davvero, sono parole finalmente degne di essere chiamate pietre.