La stazione di Manchester si chiama Piccadilly, la via principale Oxford Street: una strada che è lunga chilometri e chilometri. Cardo e Decumano: Manchester è i romani che l’hanno fatta così. Adesso il centro della città è un centro commerciale all’aperto, con le piastrelle per terra e gli ombrelloni delle caffetterie tipo “Bell’Italia”. Ci sono gli uffici, qualche college prestigioso e i negozi di tutte le catene del mondo, sembra che nessuno lavori per conto suo né che abiti qui.
A dormire si va altrove: lungo Oxford Street fino alle casette sui canali, dove tutto è lindo & pinto e l’architetto è un designer famoso. Le case hanno porte di vetro sottile: i bobby, fischietto e manganello, fanno il loro dovere. Mica dappertutto però. Qualcuno, a dormire, si ferma nei dintorni dello Stadio oppure vicino a Rasholme, il quartiere con trecento ristoranti pakistani. In uno cuociono il pane del kebab sulle pareti incandescenti di un forno di ghisa. In un altro, dentro, c’è una macelleria islamica che vende pure televisioni usate e videoregistratori.
Per strada, bambini bianchi, biondi e in calzoncini corti ti fermano e ti mostrano i soldi: ti chiedono per piacere se gli compri sigarette, birre oppure fuochi d’artificio intorno a carnevale. A loro, il negoziante, questa roba non la da, sarebbe vietato per legge. La stessa che fa si che la social security inglese si occupi di trovare casa a chi non ce l’ha. Magari a Moss Side, vicino alla chiesa cattolica e alla panchina del vecchio alcolizzato che beve sidro tutta la mattina.
Davanti qualche villetta arrugginita, con il giardinetto pieno di materazzi zozzi, dietro case a due piani ricoperte di mattonelle gialle: tra l’una e l’altra c’è lo spazio giusto per farci passare una persona e basta. Sulle pareti, tra le scritte fatte con la bomboletta spray, una dice: STUDENT BASTARD.
Qui a Moss Side odiano gli studenti: sono ricchi, non lavorano, hanno un futuro, hanno un accento snob, tifano Manchester United o Chelsea o qualche altra squadra di Londra mentre i locali, stoicamente, supportano il Manchester City, colori sociali celeste e bianco, capace pure di vincere un paio di scudetti negli ultimi anni ma, in quel momento, impegnata ad affrontare il periodo più buio della sua storia insieme allo spigoloso campionato di serie B.
Comunque ci vanno in trentamila il sabato pomeriggio al vecchio stadio di Main Road. Escono di casa parecchie ore prima della partita. Si fermano nei pub irlandesi e bevono, poi battono le mani e gridano in coro: «COME ON CITY! COME ON CITY!».
Dopo la partite tornano nei pub: bevono e giocano a biliardo. Chi prende da bere lo prende per tutti: un giro per uno e, tra una birra e l’altra, le presentazioni. «Questo è Cappa», diceva Steve per presentarmi agli amici, «a Roma Supporter… do you remember Falcao and Bruno Conti?».
Ci mettevamo a parlare di calcio italiano. Veniva fuori che il loro idolo era Pasquale Bruno ai tempi che giocava col Torino.
«Perché tra il Torino e il City», mi confida Steve, «c’è una certa somiglianza. Sai, sono due squadre con una grande storia alle spalle ma con un presente, ehm… altalenante…».
«Sì, come la testa di una puttana!», aggiungono, spiegando meglio in coro, i tifosi nel pub.
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