Facendosi una passeggiata in libreria, a diversi compagni e lettori della Red Star è venuto un colpo. “Cavolo!”, hanno pensato, “alla fine la Rizzoli deve essere stata acquista dalla Red Star Press”. Ma la pazzia è bella quando dura poco: “Saranno stati gli editor e i grafici della Red Star a passare alla Bur”, hanno concluso molto più assennatamente gli amici osservatori. Ecco allora i primi messaggi giungere in redazione: “Ehi, ci siete? Siete ancora lì o vi siete trasferiti a Milano?”.
Tranquillizziamo tutti e tutte: siamo ancora qui. E quando scegliete un libro, fateci caso: se non c’è la stella non è Red Star Press 🙂
Da giovedì 4 a sabato 6 febbraio 2016, si svolgerà a Bologna l’iniziativa sul mondo del calcio popolare “Parole nel Pallone“. L’evento, organizzato dal Laboratorio Crash, dal Cua ( Collettivo Universitario Autonomo) e dalla casa editrice “Red Star Press“, punta a mostrare il forte rapporto che si è creato, nel corso degli ultimi anni, tra la letteratura e il tema del calcio. Questo connubio, come si legge sulla pagina ufficiale dell’evento, “ha permesso di parlare di tutto ciò che vive fuori dai bordi del campo (politica, arte, cultura) attraverso una sfera rotonda che girando descrive e racconta varie sfaccettature della società”. Insomma il pallone è stata un’ottima base, per molti scrittori contemporanei, per descrivere il mondo contemporaneo. Nella tre giorni di “Parole del Pallone” oltre a varie iniziative musicali, come il concerto degli Statuto in programma la sera di sabato 6 febbraio, si avrà la possibilità di conoscere e ascoltare alcune importanti personalità culturali, ad esempio Wu Ming 5 e Cristiano Armati, cosa rappresenta oggigiorno il cosiddetto “calcio popolare“. Inoltre verrà messa al centro del dibattito la figura di Valerio Marchi, uno dei massimi esponenti sul mondo ultras e sulla sottocultura giovanile, morto nel 2006 a soli 51 anni. Alcuni giorni fa ho avuto il piacere di fare una intervista a Cristiano Armati su questa importante iniziativa che sta per iniziare nel capoluogo bolognese.
1) Da dove nasce l’iniziativa ” Parole nel Pallone“? In che cosa consisterà tale evento?
“Grazie alla presenza e alle lotte di realtà come il Laboratorio Crash e il Collettivo Universitario Autonomo, Bologna è una delle città particolarmente effervescente. Tra le due torri, tutti i giorni, ci si chiede concretamente come innescare un processo in grado di affermare un cambiamento radicale, quello che dovrebbe portare ad affermare, in quanto “diritto”, tutto ciò che non può essere né venduto né comprato. Stiamo parlando di casa, istruzione, salute, lavoro, reddito, tutela del territorio e dei beni comuni: il cuore di un percorso in cui la cultura gioca un ruolo fondamentale. In modo particolare, anche attraverso l’offerta culturale, si cerca di affermare valori importanti come l’aggregazione e l’autorganizzazione, due ambiti che trovano nello sport campi di applicazione decisivi. La casa editrice Red Star Press, da questo punto di vista, ha prima mandato in libreria un nuovo marchio editoriale, Hellnation Libri, poi ha aperto un portale, Sportpopolare.it. concentrato proprio su questi ambiti di riflessione. Il dialogo costante con il Crash e il Cua, a questo punto, ha fatto il resto: si poteva, infatti, trascurare di parlare di calcio, vale a dire del gioco popolare per eccellenza? La risposta, ovviamente, è no ed è così che è nata la voglia di organizzare un festival come “Parole nel Pallone”. Il filo conduttore dell’evento sarà quello offerto dal legame tra calcio e letteratura, ma questo è soltanto un “canovaccio”. La parola d’ordine di “Parole nel Pallone”, infatti, è che chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio. E la storia degli ospiti di questa edizione numero uno lo conferma: da Gianni Mura a Gianluca Morozzi, da Darwin Pastorin a Wu Ming 5, da Paolo Sollier a Cass Pennant per non parlare della musica degli Statuto; ognuno darà il suo contributo al racconto della più grande delle emozioni, quella che ogni bambino prova quando prende a calci una palla per strada. Come è stato detto, è così che tutte le volte ricomincia la storia del calcio. Ed è evidente, quindi, che si tratta di una storia collettiva, che nasce dal basso e che riguarda tutti e tutte…..esattamente il contrario di tanto calcio che ci viene imposto oggi: patinato, appiattito sul mondo degli affari, spesso corrotto e rappresentato da personaggi improponibili. Possiamo dire che quello moderno è il calcio dell’1%, il giocattolo dei ricchi rispetto al quale “Parole nel Pallone” si schiera decisamente dall’altra parte della barricata, insieme a quel 99% che, siamo sicuri, non ha nessuna intenzione di vedere la propria voce espulsa dalla storia“.
2) Lei ha avuto modo di conoscere Valerio Marchi, un ricordo? Che persona era? Cosa la colpiva di più di Valerio?
“Per me Valerio era ed è la “Liberia Internazionale di San Lorenzo”, vedevo lui e quel piccolo locale in via dei Volsci come se fossero un’unica cosa. Tant’è che una volta in cui lo beccai al bar Marani, vicino al negozio, rimasi stupito: “Cosa stai facendo qui?”, chiesi scherzando, :” Chi c’è di là a darmi i libri?”. All’epoca stavo raccogliendo materiale per un’inchiesta sulla violenza compiuta dai rappresentanti delle forze dell’ordine ai danni dei loro familiari…..parlai a lungo con lui dell’argomento. La libreria Internazionale, ripeto, era un piccolo locale…..eppure l’intera biografia su un simile argomento la trovai lì. Un altro ricordo risale ai tempi in cui Valerio lavorava a “Il derby del bambino morto”, che sarebbe uscito con DeriveApprodi. Io collaboravo con la Coniglio editore, che divideva con Derive l’ufficio in piazza Margherita, quindi tra un contratto da firmare e una bozza da correggere, incontrai Valerio molte volte, ricevendo il privilegio di ascoltare quello che poi sarebbe stato il libro direttamente dalla sua voce.
Che persona era Valerio? Intanto una persona che, rispetto a qualunque riflessione, si metteva a livello della strada, nel senso che evidentemente costruiva la sua riflessione orizzontalmente. I primi tempi in cui frequentavo la libreria internazionale ero solo uno studente di liceo, ma lui ascoltava le mie domande e i miei ragionamenti con un’attenzione difficile da trovare, non dico in una libreria, ma ovunque.
Cosa mi colpiva di un simile atteggiamento? Prima di tutto la possibilità di avere un interlocutore, merce molto rara. Poi è accaduto che Valerio se ne sia andato decisamente troppo presto…..e la sua mancanza, nella mia memoria, è diventata oggi il primo tassello della frana che, sulla via della gentrificazione subita, ha stravolto il quartiere San Lorenzo”.
3) Un suo commento sull’ultimo scandalo che ha travolto il mondo del calcio, denominato “Operazione Fuorigioco“?
“Sui padroni del pallone e sui loro intrallazzi non ho nulla da dire. Anche scandalizzarsi, infatti, fa parte dell’ipocrisia in cui siamo immersi: il malaffare, nel calcio come nella politica, non è un incidente di percorso, ma la pietra angolare del sistema. Lamentarsi non serve, è più utile combattere“.
4) Cosa intende lei per “calcio popolare“? Ci può fare qualche esempio concreto e attuale?
“Rispondo con una frase, tratta da “Il Manifesto”, scritto per Sportpopolare.it: Lo sport popolare, nella sua doppia accezione di pratica impostata al di fuori delle logiche del profitto e di fenomeno partecipato dagli strati popolari, e quindi dalla massa, guarda all’avvento di un nuovo umanesimo protendendosi, senza tregua, verso la rottura delle gabbie metropolitane e degli schermi televisivi tanto cari agli alfieri dell’ordine e della legalità”. Gli esempi, da questo punto di vista, sono innumerevoli: sarebbe impossibile farne solo qualcuno senza cadere nella più totale parzialità; ognuno, invece, può gettare un occhio alla strada per vedere quanto forte e diffusa sia questa realtà“.
5) Qual’è, secondo lei, il miglior libro sul mondo del pallone che ognuno di noi dovrebbe leggere almeno una volta nella vita?
“Se dobbiamo parlare di letteratura non scelgo un libro, ma una canzone, “Il portiere” dei Diaframma, che per me è la cosa di gran lunga più bella mai scritta sul mondo del pallone. Nei momenti più difficili, quando l’aria “spesseggia”, e cose difficili da affrontare si stagliano all’orizzonte, cupe come mostri, ripeto a me stesso le parole di Federico Fiumani: “Ci vuole coraggio nel gioco del calci, non basta il mestiere/ (…) perchè non è da tutti andare incontro al lampo/ di un bolide lanciato sui duecento orari e farsi trovare (…). Ci vuole coraggio nel mondo del calcio, non basta il mestiere/ gettarsi sui piedi degli avversari e non farli passare”.
Dietro la violenza della polizia contro gli occupanti di case c’è l’ossessione del Pd e del governo contro i movimenti per il diritto all’abitare. «E’ la fine della politica», dice Cristiano Armati, autore di “La Scintilla”
Bologna, 20 ottobre 2015. Fa il giro del web l’immagine di Amelia Frascaroli, assessora al Sociale della giunta Merola, quota Sel, incollata al vetro del suo ufficio, sconcertata e inerme, mentre di fronte vengono sgomberate con la forza le 280 famiglie che occupano la Ex Telecom. «Quell’immagine di impotenza saluta la fine già avvenuta della politica», dice Cristiano Armati mentre, qualche giorno dopo, alla periferia est di Roma prende a muoversi un corteo contro gli sfratti. Armati è l’autore di una “storia antagonista della lotta per la casa” (La Scintilla, Fandango libri, 2015, pagg.284, euro 18.50) scritta in presa diretta e in soggettiva. Lui stesso, infatti, precario dell’editoria quarantenne, vive da tre anni in una casa occupata nella Capitale. In quel quadrante di Roma, l’arrivo della metro C ha gonfiato gli affitti mentre la crisi ha sgonfiato i redditi. L’agenda dello sportello di zona per il diritto alla casa è zeppa di impegni: martedì picchetto antisfratto di Najib, mercoledì per Massimo e la sua famiglia, e così via per Eleonora e Antonella e poi ancora per Mimmo o Ahmed.
Fra le 30 e le 50mila famiglie, in tutta Italia, sono a rischio per la mancata proroga degli sfratti di fine locazione. Dall’inizio della crisi, sei anni fa, oltre 70 mila le sentenze di sfratto alla fine dello scorso anno, più di 30mila quelli eseguiti, il 90% dei quali per morosità, quasi sempre incolpevole. Il 70% di queste famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori, portatori di handicap) previste dalla legge per la proroga (lo stesso Viminale ammette l’incompletezza dei suoi dati). Ogni giorno sono 140 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica. Una sentenza di sfratto colpisce, secondo le statistiche una ogni 353 famiglie. Ma, escludendo le famiglie proprietarie di case e gli assegnatari di allogggi pubblici, significa che ogni anno in Italia una sentenza di sfratto, quasi sempre per morosità incolpevole, tocca una famiglia su quattro. E non c’è un sindaco che si ricordi dell’articolo 42 della Costituzione: “La proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale”, anzi ogni blanda misura, dal buono casa al contributo affitto, fino ai residence (che i palazzinari romani vogliono prorogare all’infinito al punto da aver disertato la gara per il bando che avrebbe dovuto sostituirli) sembra più un sostegno alla proprietà privata che una risposta all’emergenza.
Non basta, nelle ore immediatamente successive allo sgombero della Ex Telecom, la polizia irrompeva a Pisa, pistole alla mano, per sgomberare un luogo occupato nell’Ateneo e, a Porta Pia, venivano caricati con forza i senza casa che manifestavano sotto al Ministero dei lavori pubblici in solidarietà con i bolognesi. La portata simbolica delle azioni di polizia appare ad Armati più devastante degli effetti materiali. «Ci hanno cacciati con gli stessi idranti che si adoperano per l’immondizia. Questo per loro siamo». Più che la mole degli sfratti, a ossessionare il governo, ci sono le occupazioni a scopo abitativo, 110 solo a Roma, decine di migliaia di nuclei familiari, più la città invisibile degli inquilini senza titolo o delle occupazioni in solitaria, a volte ambigue. Il dossier occupazioni è il chiodo fisso di ogni prefetto nei tavoli con i vari assessori. La gestione dell’emergenza casa, un po’ ovunque in Italia, sembra delegata direttamente alle questure. Pisciate collettive sui materassi e la demolizione dei bagni, quasi sempre, sono la “firma” finale delle operazioni di sgombero, cui seguono le vicissitudini giudiziarie per gli attivisti coinvolti. «Queste giornate – continua Armati – hanno rappresentato questo: la scomparsa degli spazi della mediazione. Non c’è più spazio nemmeno per quel ceto politico che sopravviveva fungendo da cerniera, da erogatore di porzioni di diritti».
Eppure, il presupposto delle proroghe degli sfratti consisteva nell’impegno del governo di sostenere con adeguati piani i comuni ma questi piani non si sono mai visti. E’ arrivato solo il Piano Casa (fratello del jobs act) del ministro Lupi poi costretto a mollare dallo scandalo “Grandi opere”. Ma quel piano gli sopravvive con quell’articolo 5, “Lotta all’occupazione abusiva di immobili”, che esclude gli occupanti dalla possibilità di allacciamento a pubblici servizi o dal diritto a ottenere la residenza e, con essa, a godere di diritti essenziali come l’accesso alle cure, all’assistenza domiciliare, l’iscrizione a scuola, la produzione della certificazione Isee, l’inserimento dei figli nello stato di famiglia. Negli articoli 3 e 4, invece, vengono messe in vendita le case popolari. «Quando fu discusso in Parlamento, molti esponenti del Pd dissero che quell’articolo doveva servire solo per stroncare la compravendita mafiosa di alloggi popolari occupati abusivamente – ricorda Guido Lanciano, segretario a Roma dell’unione Inquilini – nei fatti, però, si ripercuote su tutti accomunando la malavita e i movimenti. In generale, il Piano Casa è solo una mole di norme inapplicabili per gestire pochi soldi». E nelle stesse ore degli sgomberi violenti di Bologna, Roma e Pisa, la legge di stabilità toglie l’obbligo di tracciabilità ai soldi versati per gli affitti. Il governo che sgombera è anche quello che incoraggia l’evasione fiscale, il ricatto degli affitti al nero.
«Quel piano – riprende Armati – preceduto da una campagna di stampa martellante contro chi occupa, è la risposta politica agli Tsunami per il diritto alla casa (ondate di occupazioni che si sono succedute, soprattutto a Roma, tra il 2012 e il 2014, ndr) e all’accampata del 19 ottobre di due anni fa proprio a Porta Pia». Fu solo allora, grazie al ruolo trainante dei movimenti per il diritto all’abitare, che l’Italia sembrò smettere i panni di grande assente dall’indignazione che in tutta l’area Piigs mobilitava i settori colpiti dalla crisi. Settantamila persone sfilarono da San Giovanni fino alla sede del ministero delle Infrastrutture e, dopo tre giorni in tenda, una delegazione fu ricevuta da Lupi per discutere la “Carta di Porta Pia” predisposta dai movimenti. Nel Piano Casa, però, nessuna traccia di blocco degli sfratti, di piani di edilizia residenziale pubblica, di utilizzo sociale del patrimonio pubblico, di rigenerazione urbana, di blocco delle grandi opere, come reclamavano i movimenti. Solo quell’articolo 5, dalla dubbia costituzionalità, che sembra coronare il sogno di chi, inutilmente finora, aveva tentato – a Roma, Padova, Napoli, Torino, Milano, negli anni – di incastrare i movimenti con i teoremi giudiziari dell’associazione a delinquere “finalizzata all’estorsione di case o posti di lavoro”.
Questo di Cristiano Armati è un buon libro. Ed è un buon libro perché ha diversi meriti. Uno è senz’altro quello di descrivere un argomento ”militante” come è il movimento di lotta per la casa in maniera comprensibile e intelligibile anche a chi militante non è.
Trattare delle occupazioni a scopo abitativo può voler dire infilarsi in un terreno scivoloso. Infatti questo è un argomento quasi totalmente schiacciato dalla narrazione tossica del mainstream. La nostra stampa, ed i media in generale, fanno a gara a chi più riesce a soddisfare le esigenze dei poteri forti e, dietro l’emergenza abitativa nelle nostre metropoli, i poteri forti ci sono eccome. Così l’occupazione di spazi vuoti lasciati volutamente e scandalosamente marcire dalla lobby dei palazzinari per i media diventa racket; gli alloggi pubblici strappati al degrado e l’incuria diventano case popolari tolte ai legittimi proprietari: praticamente, per dirla come l’autore, a sentire i talk show una vecchietta non può uscire di casa a prendere un caffè che i movimenti gli occupano la casa!
Quindi dobbiamo riconoscere a Cristiano anche il merito di aver scritto una contro narrazione chiara e scorrevole della storia del network Abitare nella Crisi e soprattutto della sua espressione romana autodefinitasi come Movimenti per il Diritto all’Abitare, di cui egli stesso è protagonista di primo piano.
La narrazione si snoda su due livelli che si intersecano: quello teorico-politicoe quello della descrizione vera e propria della azione diretta che coglie con nitidezza quella che è stata una grande stagione di lotte per la casa nel biennio 2013-14. D’un fiato si leggono le pagine che raccontano lo Tzunami Tour, l’ondata di occupazioni contemporanee a scopo abitativo che i movimenti romani lanciano il 6 dicembre ’12 e che proseguirà per tutto il biennio successivo. Occupazioni che daranno il via a ad un eccezionale periodo di lotte dal basso che, coagulandosi attorno al diritto all’abitare, si salderà in una piattaforma di rivendicazioni socialmente avanzata: reddito, lavoro, istruzione, salute sintetizzati in un celebre slogan: “una sola grande opera, casa e reddito per tutti”.
La critica al “sistema crisi” elaborata dagli ambienti romani trova la sua corrispondenza anche nel resto del paese ed in particolare nella valle che resiste al TAV. Da questo, e dalla constatazione che solo attraverso l’unione delle lotte dal basso di precari, migranti, movimenti contro le devastazioni ambientali, disoccupati e senza casa sarà possibile agire il cambiamento nella società, nasce quella spinta che porterà alla grande manifestazione del 19 ottobre 2013 ed alla successiva accampada dei movimenti di lotta per la casa a Porta Pia. Sotto la parola d’ordine di “assediamoli” sfilano centinaia di migliaia di corpi che chiedono a gran voce un cambiamento radicale del paradigma di sviluppo. Per dire basta ad un capitalismo che favorisce pochi e si accanisce ferocemente sugli ultimi della catena sociale. Dalla tenacia di chi ha resistito per giorni accampato a Porta Pia ne scaturisce un incontro con l’allora ministro Lupi che, davanti alla rabbia sociale, come sempre sortisce solo promesse vuote e solite arroganti frasi di circostanza. Tra l’altro di lì a breve sarà ancora una volta chiaro da che parte sta la politica: lo stesso ministro Lupi (che poi si dimetterà sotto il peso delle inchieste giudiziarie) darà il nome ad un famigerato decreto del renziano “piano casa” che all’articolo 5, come per prendersi beffe dei movimenti per la casa, sancisce la guerra ai poveri: “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi”. Quindi si staccano le utenze a chi per sopravvivere ha recuperato qualche palazzina fatiscente e gli si nega ogni diritto civile (ad esempio la possibilità di mandare i figli a scuola) privandoli della residenza anagrafica. Chapeau!
Questo e molto altro c’è ne “La Scintilla”, edito dalla Fandango Libri, ora sta a voi leggere e diffondere…
Saggi. Il diritto all’abitare ne «La scintilla» di Cristiano Armati per Fandango. Democrazia radicale negli stabili occupati. Una storia di un movimento ostile all’ideologia delle grandi opere
I movimenti di lotta per il diritto alla casa ed all’abitare si sono moltiplicati negli ultimi anni in Italia, come in tutto il sud Europa, fino a spingere l’elezione di Ada Colau a sindaco di Barcellona, ma l’attenzione della stampa, della saggistica e della ricerca sociale non è stata all’altezza di questa forza. Il libro La scintilla. Dalla Valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa di Cristiano Armati, pubblicato da Fandango, contribuisce a colmare questa lacuna, insieme ai lavori del collettivo internazionale SqEK (Squatting Europe Kollective) e di singoli ricercatori e ricercatrici che stanno proponendo analisi sul tema.
La scintilla ricostruisce la storia passata e recente del movimento per la casa, specialmente della realtà romana, ed ha il merito di presentare analisi e proposte emergenti dall’interno dello stesso movimento. Un testo corale, dunque, che presenta un processo in corso, capace di durata e conquiste quotidiane, dal blocco degli sfratti alle occupazioni di immobili vuoti. Ciò che è al centro di questo libro è un percorso collettivo di riappropriazione e di risposta autonoma alle assenze o alle presenze interessate delle istituzioni pubbliche, mentre le città diventano sempre più ostili per una parte della popolazione, con gli sfratti eseguiti in crescita vertiginosa in tutta Italia dal 2011, pari a 31.399 nel 2013, quasi tutti per morosità.
Il racconto si svolge in prima persona a partire dall’esperienza dell’autore, occupante con il suo nucleo familiare dopo il mancato rinnovo del contratto di lavoro. La narrazione diretta facilita l’immersione del lettore all’interno del movimento, accompagnato dalla sua colonna sonora, dalle canzoni, dai cori e dagli slogan usuali nelle iniziative di lotta, che restituiscono la scansione del tempo quotidiano dell’impegno, dalle note di Azzurro a quelle di Questa casa non la mollerò di Ricky Gianco.
La storia si sviluppa dal primo Tsunami tour romano per la casa del 6 Dicembre 2012, con l’occupazione di diversi edifici inutilizzati, passando per la manifestazione in Val di Susa nell’estate del 2013, dopo la quale fu lanciata l’iniziativa nazionale della sollevazione del successivo 19 Ottobre, fino allo sgombero ed alla resistenza delle occupazioni della zona Montagnola nell’Aprile 2014. In questo periodo si è diffuso il programma politico lanciato dai movimenti sociali in Italia: una sola grande opera, casa e reddito per tutte e tutti. Un programma che coglie nel segno, perché individua la necessità di ribaltare la politica di Robin Hood al contrario — che favorisce cioè banche e imprese private — promossa dallo Stato attraverso le grandi opere. Una politica che nega diritti e bisogni fondamentali ad una parte crescente della popolazione, composta soprattutto da italiani e migranti in condizioni di precarietà e disoccupazione o occupati con bassi salari. Una politica di classe, sistematizzata dalla Legge obiettivo del 2001 e rilanciata dal decreto «Sblocca Italia» del 2014, che si è fondata sull’espropriazione della ricchezza collettiva a vantaggio di quella privata.
Il legame tra la lotta contro il Tav e quella per il diritto alla casa ed all’abitare è qui evidente. Sono lotte che propongono di andare oltre la logica delle grandi opere e dell’espropriazione, per costruire un’alternativa politica capace di interrompere la tendenza al crescente impoverimento sociale ed all’aggressione ambientale. Questo legame si ritrova anche dal lato negativo della storia, nelle politiche di ordine pubblico dello Stato — attraverso le denunce per terrorismo dei militanti No Tav o l’articolo 5 del Decreto Lupi contro l’occupazione abusiva di immobili — ai cui rappresentanti Armati si rivolge più volte, chiedendosi quando, in un contesto di ingiustizia crescente, «tra i dipendenti statali si diffonderà un movimento di disobbedienza civile».
Il testo parla, però, anche del comune metodo politico utilizzato, quello della democrazia orizzontale, rappresentato da alcuni osservatori esterni, come hann scritto alcuni giornalisti, come l’espressione di un controllo mafioso di una parte degli attivisti sui partecipanti alle occupazioni. È curioso che questa interpretazione venga veicolata in una città che sta conoscendo le vicende di «Mafia capitale», l’evidenza di un potere politico ed economico costruito sulla pelle delle aree sociali maggiormente stigmatizzate, quelle normalmente individuate come colpevoli di ogni problema: i rom, i senza casa, le famiglie sfrattate, gli immigrati.
I movimenti per la casa stanno mettendo in discussione proprio questo, le politiche e le narrazioni razziste e classiste, utili ad «evitare alleanze tra classi sociali disagiate», mentre continuano ad alimentare la pratica della solidarietà e della cooperazione meticcia: in altre parole, la scintilla del cambiamento.
Dal fronte copertina: “Che nelle metropoli italiane il prezzo di un affitto sia spesso superiore allo stipendio medio di un lavoratore, dice tanto sulla lotta per la casa e sulla realtà delle occupazioni abitative. Ma sul come, partendo da un bisogno, la pratica dell’azione diretta e dell’autorganizzazione abbia costruito una realtà di uomini e donne radicalmente avversi al sistema economico attuale, le statistiche tacciono, l’informazione mainstream diffama e la repressione colpisce inesorabile, distribuendo nel silenzio severe misure restrittive e anni di galera. Eppure anno dopo anno, azione dopo azione e, soprattutto, occupazione dopo occupazione, la lotta per il diritto alla casa ha vinto la battaglia contro la rassegnazione e ha restituito un tetto a migliaia di persone espulse dal sistema. Un libro scritto sulle barricate del ventunesimo secolo insieme ai militanti dei movimenti per il diritto all’abitare, in grado di spaziare dagli anni Settanta ai giorni nostri, dalla battaglia di San Basilio fino agli “Tsunami Tour” romani e alle nuove resistenze contro lo scempio delle grandi opere (Tav) e dei grandi eventi (Expo): una narrazione partecipata e sorprendente; come una scintilla che, nella notte del capitalismo globale, continua a tenere viva la fiamma della rivoluzione”.
Recensione di F.F., da Il Venerdì di Repubblica del 12 giugno 2015
Roma. Dalle cesoie per spezzare i lucchetti a Roma al Maalox per riprendersi dai lacrimogeni in Val Susa. Dallo Tsunami Tour, quando i Movimenti per il Diritto all’Abitare hanno infilato mille famiglie in dieci edifici vuoti, all’invasione del Club Freccia a Termini. Dal No Muos al No Expo. La scintilladi Cristiano Armati (Fandango, pp. 284, euro 18,50) è “una storia antagonista della lotta per la casa”. Attraverso la vita dell’autore, quarantenne romano con figlio piccolo, trenta sigarette al giorno e un maialino vietnamita raccolto sul ciglio della strada, una quotidianità tra scrittura e assemblee, editoria e, appunto, occupazioni abusive. Prima sognava che Babbo Natale venisse a pagargli l’affitto: 500 euro al mese in nero nella centrale piazza Vittorio, 600 a Primavalle, periferia di Roma. Da quando ha perso il lavoro, sogna la lotta contro il “capitalismo globale”, l'”inesorabile repressione”, i silenzi dell'”informazione mainstream”. Sulle barricate del XXI secolo per “tenere viva la fiamma della rivoluzione”. Il mondo è in bianco e nero: da una parte la rabbia degli “oppressi” e di chi vive nelle borgate e sconta una crisi che gli passa sopra la testa. Dall’altra i “padroni”, la Digos con i volti arroganti e l’umanità ingrigita, i poliziotti non più eroi pasoliniani, i palazzinari evasori come la ricchissima Lady No Tax. Tra picchetti e manganellate, ecco la trovata di legarsi un nastro giallo al braccio e fingersi pellegrini cattolici e depistare la polizia. Al grido di “cospirare è respirare insieme”!
A chi, svegliandosi all’alba del primo giugno, si fosse sintonizzato su Raiuno e, alle 6 e 20 circa, vedendo una faccia conosciuta, avesse pensato di essere ancora addormentato, si può dire che no, non stava sognando: con la maglietta di “Roma si barrica”, c’era davvero Cristiano Armati. Intorno al dodicesimo minuto interviene nel programma “Il Caffè” di Raiuno per presentare “La Scintilla” e parlare di emergenza abitativa e di occupazioni, sostenendo la necessità di fermare le privatizzazioni per imporre un piano-casa degno di questo nome.
Recensione di Andrea Bressa, da Panorama.it del 25 marzo 2013
Spesso la scrittura è il sintomo di un bisogno: quello di mettere in parole il dubbio. E in L’amore che ho cercato, il nuovo romanzo di Cristiano Armati (Giulio Perrone Editore), il protagonista ha un dilemma profondo da sbrogliare. Cappa, questo il suo nome, riflette sull’illimitatezza dei desideri e delle possibilità e sul richiamo dell’esistenza quotidiana, quella della “normalità”. Questi due poli nel romanzo hanno le fattezze di Fatou, stupenda ragazza di Bamako, nel Mali, conosciuta in un viaggio in Africa, e di Sofia, la sua compagna a Roma, dalla quale aspetta una bambina.
Africa ed Europa, Bamako e Roma, Fatou e Sofia, desiderio e realtà, piacere e dovere: sono questi i termini di paragone della riflessione di Cappa, sempre più stretto in una quotidianità a cui sente di non appartenere e smanioso di rivivere quel qualcosa d’altro che gli ha aperto gli occhi sulle migliaia di opportunità esistenti.
Ma Cappa sa anche che non è così semplice risolvere la questione. La difficoltà sta, citando Antonio Tabucchi, nel fatto che “potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo”. Così Cappa prova con un doloroso cinismo ad affrontare i suoi mostri, i suoi desideri e le aspettative attorno. Si condivide il dramma di Cappa: talvolta lo si biasima, altre lo si vorrebbe abbracciare. Disperazione e speranza si danno il cambio di pagina in pagina, in una narrazione contrassegnata da continui passaggi temporali e spaziali tra Roma e Bamako, tra il presente e il passato (possibile futuro).
Perché leggere L’amore che ho cercato? Perché l’autore non solo è capace di osservare alcuni aspetti tra i più profondi della mente e dell’animo dell’uomo, ma sa tradurli con una scrittura impetuosa e brillante, parlando anche attraverso le parole di altri autori (numerose le citazioni), da Guy de Maupassant a Salvatore Quasimodo, da Charles Bukowski a Ryszard Kapuscinski.
Nella storia di Cappa e del suo amore cercato, forse, si può anche trovare una sorta di attacco alla civiltà occidentale, sempre più fredda, cinica, impersonale.
Un personaggio urticante Cappa, in L’amore che ho cercato di Cristiano Armati (Giulio Perrone, 2013), che ha il fascino perverso delle persone complicate. Ha il potere ipnotico di trascinarci in un’Africa vera, fatta di incontri e persone fatali, soprattutto donne, in contrasto con l’ipocrita e falsa Roma, in cui si ritrova a riprendere l’inconsistente vita di sempre, accanto a una donna, Sofia, che non ama ma che lo sopporta con passione e che sta per mettere al mondo una figlia. Cappa ha lasciato in Mali il vero se stesso e il grande amore della sua vita, Fatou, dopo aver sperimentato l’accoglienza di diverse donne.
Lo stile di Armati trascina in un turbine di sensazioni contrastanti, come multiformi sono i registri da lui usati, dall’alto al basso, che vale anche per il lessico che sa avvalersi delle forme scurrili e ampliarsi nella ricchezza di immagini e riflessioni. A volte greve e aggressiva, la filosofia di vita che è alla base dell’avventura africana di Cappa e che lo spinge all’irrequietezza e al disagio al ritorno a casa, tocca emotività profonde, espresse con lucidità tagliente:
Della famosa favola della volpe e l’uva, a me è un certo senso paradossale che la pervade ad avermi sempre affascinato. Perchè quando la volpe lascia perdere l’uva e se ne va dicendo che tanto l’uva è acerba, tutti godono nel vedere la volpe come una fallita e un’incapace. Mai nessuno che si chieda se l’uva non fosse stata acerba per davvero. Un modo come un altro per non immalinconirsi troppo. Perchè la volpe, in realtà, ha avuto la forza di fare esattamente ciò che a chi legge la favola è ignoto: rifiutare quello che passa il convento. Pensare che non sia affatto meglio accontentarsi. Cercare altrove anche quando il prezzo da pagare è quello di non mangiare affatto.
Cappa nella vita non è disposto ad accontentarsi, ma nello stesso tempo non trova la forza e la risolutezza di portare avanti un progetto più ampio di una vacanza. Esponente eccentrico di una generazione in bilico, che non sa da che parte andare e si ritrova allo sbando:
Giro su me stesso, prendo due volte il guardrail e mi fermo finalmente addosso a un palo, entrato dentro al cofano e arrivato a sfondare il parabrezza.
Sarà questo il punto di arrivo? La meta auspicabile?
Nell’Africa è il capovolgimento delle prospettive, l’unico luogo in cui Cappa ritrova un equilibrio, ma è come guardare il mondo a testa in giù, in un frenetico e continuo girovagare tra donne, alcool e bivacchi. Uno sguardo frammentato, che slitta dal piano personale a quello sociologico e politico, con punture fulminee che lasciano un fastidioso e persistente prurito. Armati, con la sua prosa tagliente, riesce a non edulcorare il mondo africano ma nello stesso tempo a mostrarne l’estrema libertà, il sogno, l’incanto che travolge Cappa. Un antieroe che non cerca simpatia nei lettori, ma che si lascia raccontare in tutta la carica sovversiva della sua figura:
Rispetto per quelle che sono le prerogative umane: mangiare quando si ha fame, andare a letto quando si ha sonno, conoscere l’amore quando è propizio il vento. Alzo le braccia al cielo e spero presto. Presto io e una donna nello stesso letto: la porta chiusa in faccia a tutti e la vergogna trasformata in un concetto alquanto strano; roba che non provano quelli come me: i nati privi del peccato originale.
Personaggi come Cappa, con l’acredine lucida verso il mondo in cui viviamo, con la violenza tracotante che è propria della loro indole, sono i più indicati a squarciare il velo inconsapevole con cui il nostro sguardo si poggia sulla realtà che ci circonda e sull’altrove.