A cura della redazione de “Il Tafferuglio” il video della presentazione de “La Scintilla” con Cristiano Armati (Lucca, 5 febbraio 2017).
Categoria: Libri a mano Armati
Arrosto e grimaldello: La Scintilla a Lucca
LUCCA, 5 febbraio 2017: Dopo il pranzo di finanziamento organizzato dal Collettivo di Lotta per la Casa di Lucca, Cristiano Armati presenta “La Scintilla. Dalla Valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa”.
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La Scintilla a Milano
VENERDI’ 20 MAGGIO dalle ore 21:00, presso la PANETTERIA OCCUPATA di via Conte Rosso 20 (Milano) PRESENTAZIONE DEL LIBRO di Cristiano Armati “LA SCINTILLA. Dalla valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa“, con la partecipazione dell’autore, e proiezione del video “Io la casa me la sto lottando”, a cura del Movimento Casa Pioltello.
Presentando “La Scintilla”, di Cristiano Armati, vogliamo riportare e socializzare il contributo di un compagno romano attivo nel movimento di lotta per il diritto all’abitare sviluppatosi in questi anni nella capitale; il libro ha il pregio di mostrarci, sin dalle prime pagine, la necessità e la capacità di un movimento di affrontare in modo ampio e complessivo le necessità e i bisogni di una porzione crescente di proletari, italiani e immigrati. La crisi, le ristrutturazioni, la ridefinizione del welfare, le sempre peggiori condizioni di lavoro (quando c’è) determinano infatti un sempre maggiore impoverimento delle classi subalterne. Ma questo implica anche possibili terreni di mobilitazione, e la lotta per la casa ne è infatti un chiaro esempio.
Da un lato, la gestione della “questione abitativa” da parte del potere politico è in continua evoluzione, non solo per l’aumento di sfratti e sgomberi, ma anche per quanto riguarda l’edilizia pubblica, sempre più investita da processi di dismissione o privatizzazione, (legge regionale della giunta Maroni in approvazione a Giugno) e nello sviluppo delle metropoli, dove intere zone vengono riqualificate e gentrificate a seconda delle esigenze, o ancora per la nascita di nuove forme “intermedie” di offerta abitativa, quali lo housing sociale. Dall’altro lato, sempre maggiore, e anch’esso in evoluzione, il tentativo di organizzarsi per fare fronte al problema, con la creazione di comitati che concretamente cercano di costruire una rete tra abitanti dei quartieri popolari, occupanti, sfrattati e solidali. Cercheremo quindi di approfondire il nostro punto di vista su entrambi gli aspetti.
Il video del Movimento Casa Pioltello è anch’esso un breve collage che, attraverso testimonianze e momenti di azione, cerca di mettere a fuoco le dinamiche e le ragioni di una lotta che partendo dai quartieri dove si sviluppa cerca di raggiungere una dimensione più ampia. Vuole essere uno spunto, ne descrive la forza, le potenzialità e le contraddizioni.
Comitato di Lotta per la Casa Lambrate
Concorde Occupato, due anni sulle barricate: La Scintilla a Firenze
FIRENZE: L’Ex Hotel Concorde occupato festeggia due anni di liberazione e, per l’occasione, offre un’apericena meticcia, il concerto dell’Esercito Ribelle e un djset rigorosamente trash.
Ad aprire i festeggiamenti, alle 18e30, Cristiano Armati con la presentazione del suo “La Scintilla. Dalla Valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa”.
Italia criminale a Riano (Roma)
RIANO (Roma): Continuano gli appuntamenti con la letteratura organizzati nella sala consiliare del comune di Riano nell’ambito della rassegna “Sfogliando il Natale”. Domenica 10 gennaio, alle 20, è il turno di Cristiano Armati e del suo “Italia criminale“: spazio a un libro che, a partire da quella che è stata la storia della rapina a mano armata nel nostro paese, dimostra insoliti e inquietanti collegamenti con la più stretta attualità.
La casa è di chi l’abita: la Scintilla al Quarticciolo (Roma)
ROMA, 12 dicembre 2015: l’Ex Questura di via Ostuni 9, al Quarticciolo, festeggia i suoi 17 anni di liberazione e di occupazione abitativa. Per l’occasione, alle 18, nei locali del Red Lab, aperto dagli occupanti per andare incontro all’esigenza di spazi sociali del quartiere, Cristiano Armati presenta “La Scintilla. Dalla Valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa“. A seguire cena, brindisi e Los3Saltos in concerto.
La Scintilla a Cosenza
COSENZA: la lotta per la casa è di scena nel capoluogo calabrese. Con la partecipazione di Social Log Bologna e Prendocasa Pisa, il 10 dicembre alle 18, presso l’ex Istituto Canossiane Occupato, Cristiano Armati presenta “La scintilla. Una storia antagonista della lotta per la casa” (Fandango Editore).
Dibattito aperto e, a seguire, cena meticcia.
Piero Bruno: passione e morte di uno studente comunista
22 novembre, giornata storta. Il cielo grigio promette la pioggia e il vento se la prende con chi passa per le strade di Roma, quasi urlando che è meglio per tutti restare a casa. Ci sono giorni, però, in cui la libertà non accetta di restare casa. Non lo accetta l’8 giugno del 1960, tra Catete e Bengo, quando alla notizia dell’arresto di António Agostinho Neto una folla di sostenitori del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA) si mette in marcia reclamando il rilascio del loro leader. E non lo accetta nemmeno in Italia, il 22 novembre del 1975, mentre un corteo di duemila persone affronta il freddo intenso per chiedere a gran voce il riconoscimento dell’indipendenza della nazione africana, uscita vincitrice dal confronto con il regime coloniale portoghese.
L’8 giugno del 1960 l’esercito di occupazione del dittatore lusitano António de Oliveira Salazar aveva aperto il fuoco sulla folla ammazzando trenta persone. A Roma, quindici anni dopo, dalla testa del corteo che si snoda tra piazza Santa Maria Maggiore e piazza Navona si sgancia un gruppetto di giovanissimi militanti di Lotta Continua. I duemila che hanno preso parte alla manifestazione continuano a gridare slogan contro l’imperialismo e a salutare, nell’Angola di Neto, un altro paese in cui il marxismo ha consentito di portare al potere un rappresentante del proletariato. Le parole d’ordine della manifestazione sono musica per le orecchie dei ragazzi che imboccano via Muratori: lì, all’incrocio con largo Mecenate, c’è il cancello dell’ambasciata dello Zaire, uno Stato che attraverso il governo del feroce Mobuto sostiene per conto degli Stati Uniti le forze che si oppongono ai movimenti popolari in Africa centrale. Nell’animo di quel pugno di manifestanti c’è la volontà di andare oltre gli slogan e per questo, istruiti dal servizio d’ordine di Lc, alcuni giovani stringono tra le mani biglie d’acciaio e bocce piene di benzina, l’ingrediente necessario per portare a termine un’azione dimostrativa; una “fiammata”, come si diceva negli anni Settanta, da accendere in faccia ai nemici della Repubblica popolare dell’Angola per fare arrivare fino in Africa il rumore del Movimento e la sua solidarietà.
Idee ambiziose, quelle che girano per Roma il 22 novembre. Idee destinate a restare sull’asfalto. Perché quando il gruppo di ragazzi arriva a intravedere il portone dell’ambasciata dello Zaire si sente gridare: «Eccoli! Eccoli!».
Non c’è nemmeno il tempo di indietreggiare. Un gruppo di poliziotti e carabinieri, appostato nelle vicinanze, inizia a sparare. Le bottiglie incendiare volano senza procurare danni. Viene lanciato qualche sasso e due macchine, trascinate in mezzo alla strada, sono rovesciate per evitare una carica. Per difendersi è troppo tardi: due manifestanti sono feriti alla testa ma, miracolosamente, riescono a mettersi in salvo rientrando nel corteo; un terzo, colpito alla schiena, si accascia: il suo nome è Piero Bruno. Sulla sua carta di identità c’è scritto che è nato a Roma l’8 dicembre del 1957.
Piero abita alla Garbatella insieme ai genitori e a due sorelle. Studia da elettrotecnico e ama tante cose: la musica, le immersioni subacquee e Barbara. La mattina varca il portone dell’istituto tecnico industriale Armellini, per il resto, oltre a frequentare la sezione di Lotta Continua della Garbatella: «Faceva ciò che era giusto fare: autoriduzioni nei lotti popolari, gruppi di studio per evitare bocciature, cortei, collettivi».
In via Muratori, Piero è solo un corpo che urla di dolore: qualcuno gli si avvicina tentando di metterlo in salvo ma neppure adesso, quando è palese che nessuno è più in grado di nuocere in alcun modo, viene dato l’ordine di far tacere le armi. Il soccorritore viene colpito a un braccio e le pallottole infieriscono ancora sul ragazzo steso a terra ferendolo nuovamente, questa volta al ginocchio. Tanto basta ai tutori dell’ordine per sentirsi finalmente padroni della situazione. Un agente senza divisa esce allo scoperto e il modo in cui tratta Piero non sfugge allo sguardo allibito di una signora affacciata alla finestra di casa sua, in via Muratori:
Ho […] sentito che il ragazzo disteso per terra di lamentava e contemporaneamente ho visto un uomo in borghese sbucare attraverso i poliziotti che si è avvicinato di corsa al ragazzo, disteso per terra urlando, presso a poco «Ti pare questo il modo di ammazzare un collega» e ancora, «Cane, bastardo, carogna», ho quindi visto che l’uomo ha puntato la pistola verso il ragazzo disteso per terra, urlando «Ti ammazzo» e ho sentito il clic del grilletto. Il ragazzo ha gridato «No» ed ha fatto il gesto di coprirsi il volto con le mani. Quindi l’uomo, chinandosi sul ragazzo gli ha detto «ma io ti ammazzerei veramente» e lo ha scosso (dichiarazioni rese da una testimone alla competente autorità giudiziaria, 1975).
Piero Bruno, in realtà, non ha ammazzato nessuno. Eppure gli insulti non sono l’unica forma di mistificazione praticata quel pomeriggio dalle forze dell’ordine. L’ospedale San Giovanni è vicinissimo al luogo dell’agguato ma, anziché correre al pronto soccorso, si preferisce trascinare il ferito per decine di metri per fare in modo che il suo corpo finisca molto più vicino all’ambasciata dello Zaire e dare l’idea che i proiettili lo abbiano raggiunto mentre attaccava la polizia e non, come è accaduto, mentre tentava la fuga. Gli stessi bossoli, esplosi in una quantità così numerosa da formare un tappeto lungo la strada insanguinata, vengono raccolti in fretta: l’esatto ammontare del loro numero, in questo modo, non potrà mai più essere appurato.
Intanto si perde tempo prezioso. Sono soltanto le venti e trenta quando, con i proiettili in corpo e addosso il pallore dei morti, Piero Bruno entra in sala operatoria. Per “sicurezza” la polizia lo piantona come se fosse nelle condizioni di poter scappare da un momento all’altro. E lui, con un filo di voce, ha ancora la forza di sussurrare: «Ci penseranno i compagni a vendicarmi…».
Sono le sue ultime parole. Piero riesce a superare la notte ma, dopo due interventi chirurgici e il sopraggiungere di un blocco renale, nel pomeriggio del 23 novembre del 1975 smette di respirare. Gli mancavano soltanto quindici giorni. Poi avrebbe festeggiato il suo diciottesimo compleanno.
*
Ma chi ha ucciso Piero Bruno?
Quando questa domanda viene posta in relazione al nugolo di militanti di sinistra uccisi dalla polizia la risposta più caratteristica è il silenzio mentre depistaggi e forzature giuridiche sono la regola più che l’eccezione della via giudiziaria alla ricerca della verità su chi muore per motivi di “ordine pubblico”.
Il caso di Piero Bruno, da questo punto di vista, è diverso dagli altri ma allo stesso tempo più atroce. Molto semplicemente, infatti, è stato possibile risalire all’identità dei militi che, agli ordini del vicequestore Ignazio Lo Coco, aprirono il fuoco il pomeriggio del 22 novembre 1975. I loro nomi, con le loro testimonianze, sono ancora lì, insieme ai buchi sui palazzi di via Muratori, tra le carte di un’inchiesta aperta dalla Magistratura per fare luce sul caso.
Si tratta del sottotenente dei carabinieri Saverio Bossio: «Ho esploso due colpi di pistola in direzione di un gruppo di persone col volto coperto che si trovava alla fine di via Muratori dalla parte del quadrivio».
Della guardia di pubblica sicurezza Romano Tammaro: «Mi sono avvicinato a loro sulla destra, ed ho visto un ragazzo a terra e due che lo trascinavano. Ho preso la pistola ed ho esploso dei colpi a scopo intimidatorio. I colpi erano diretti a terra».
E del carabiniere Pietro Colantuono: «I colpi che ho sparato, stando in piedi, li ho esplosi con l’avambraccio ad angolo retto rispetto al braccio, e quelli che ho esploso da terra, con l’avambraccio verso l’alto sempre in direzione del gruppo di giovani».
All’appello manca soltanto un altro personaggio, il più importante e, in un processo virtuale, senz’altro l’imputato principale. Si tratta di Oronzo Reale: il ministro degli interni a cui si deve la paternità della legge che porta il suo nome.
La Legge Reale, approvata il 22 maggio del 1975, concede alle forze dell’ordine di utilizzare le armi da fuoco con estrema disinvoltura, rende possibile la perquisizione personale senza l’autorizzazione di un magistrato, prescrive l’arresto per chiunque sia trovato in possesso di “armi improprie” (lasciando alle forze dell’ordine la discrezionalità di decidere cosa possa essere considerato arma impropria) e reintroduce la misura del soggiorno obbligato per ragioni politiche già in auge nel periodo fascista. Le conseguenze di queste misure sono note: soltanto tra il 1975 e il 1990 sono almeno 685 le persone uccise sulla base della legge Reale e, tra queste, almeno 208 sono risultate colpevoli soltanto di non essersi fermate a un posto di blocco o, più tragicamente, si essersi trovate nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Qualsiasi momento, cioè, in cui la polizia perde la testa e spara.
Con questi presupposti la sentenza di archiviazione pronunciata dal giudice istruttore in relazione alla morte di Piero Bruno nel 1976 è poco più di una formalità. A nulla serve un collegio difensivo che, nel tentativo di fare chiarezza sull’omicidio del ragazzo, arruola il senatore Umberto Terracini e Giuseppe Mattina, uno dei fondatori di Soccorso Rosso. Nelle aule in cui venne discusso il caso furono sostenute le teorie più assurde, come quella di un colpo di pistola che rimbalza sul terreno e, colpendo il ginocchio di Piero Bruno, impegnato in una torsione mentre lancia una molotov, si incunea nel suo corpo fino a risalire lungo la spina dorsale lacerandogli l’aorta. Una battuta di Dario Fo legata alle tante morti violente di quegli anni recita: «Non è la polizia che spara per uccidere, sono gli studenti che volano».
Ma c’è poco da ridere. Assolvendo i poliziotti che spararono a Piero il giudice sentenzia: «Se per gli interessi superiori dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti a una reazione proporzionata all’offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni, ma non si possono ignorare i principi di diritto».
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La storia, per fortuna, non si fa nelle aule dei tribunali. E se gli stessi giudici, avvolti nelle loro toghe lucide e nere, possono essere inappuntabili quando si tratta di applicare alla vita quotidiana le regole della legalità, la giustizia resta comunque un’altra cosa. Che si tratti di sensibilità, di utopia o di «istinto di classe», nella sentenza che archivia il caso di Piero Bruno di giustizia non c’è traccia. Per recuperare questo sentimento, lo stesso in cui eccellono i folli e i bambini, bisogna cercare altrove. Nelle parole «tu vivrai», per esempio. Cioè in un verso della poesia La libertà è un sogno scritta da Antonio Pinto, un soldato impegnato nella guerra d’indipendenza angolana commosso alla notizia di un compagno morto per la sua stessa causa in un Paese tanto lontano:
La libertà è sogno / sogno colmo di desiderio / lungo cammino di guerra e d’amore / percorso da gente di ogni terra / cammino di proletari, di guerriglieri.
È volontà ferma / di chi soffre, di chi vince / sul cammino del futuro, che è nostro.
Libertà è grido / è grido che tu hai gridato / arma che tu hai impugnato / sete che non hai saziato / vita che hai perduto.
Vermi ti rubarono la vita / vermi si nutrono ora del tuo corpo.
Ma tu vivrai!
E viva sarà la volontà nei cuori / che un altro mondo e gente vedranno / oltre il tuo esempio luminoso / vivrai!
Di te che lontano sei caduto per la nostra causa questo ci resta: / la libertà non è di un solo popolo / da te ci viene la forza / perché la lotta continui / fino alla vittoria finale.
Ancora nel corso delle celebrazioni per il trentennale, alla Garbatella si inaugura il murales realizzato dal CSOA “La Strada”: un affresco dove, al volto di Piero, si affianca quello di Carlo Giuliani, ucciso nel corso della protesta organizzata a Genova contro il G8 del 2001.
Si tratta di una connessione che non è dettata soltanto dal destino che, a distanza di tanti anni, riesce a iscrivere il nome di Piero Bruno e quello di Carlo Giuliani nello stesso libro nero della giustizia negata, ma anche dalla volontà di affermare la forza di una tradizione importante e fin troppo spesso dimenticata. La stessa tradizione che negli anni Settanta, per capire i propri morti, ricorreva alla memoria della Resistenza e che, se si trattava di parlare di ragazzi come Piero Bruno, non aveva dubbi: “nuovi partigiani”; questo è il loro vero nome.
Casa: l’ossessione del governo per gli sgomberi violenti; “La Scintilla” su “Left”
Articolo di Cecchino Antonini per “Left”
Dietro la violenza della polizia contro gli occupanti di case c’è l’ossessione del Pd e del governo contro i movimenti per il diritto all’abitare. «E’ la fine della politica», dice Cristiano Armati, autore di “La Scintilla”
Bologna, 20 ottobre 2015. Fa il giro del web l’immagine di Amelia Frascaroli, assessora al Sociale della giunta Merola, quota Sel, incollata al vetro del suo ufficio, sconcertata e inerme, mentre di fronte vengono sgomberate con la forza le 280 famiglie che occupano la Ex Telecom. «Quell’immagine di impotenza saluta la fine già avvenuta della politica», dice Cristiano Armati mentre, qualche giorno dopo, alla periferia est di Roma prende a muoversi un corteo contro gli sfratti. Armati è l’autore di una “storia antagonista della lotta per la casa” (La Scintilla, Fandango libri, 2015, pagg.284, euro 18.50) scritta in presa diretta e in soggettiva. Lui stesso, infatti, precario dell’editoria quarantenne, vive da tre anni in una casa occupata nella Capitale. In quel quadrante di Roma, l’arrivo della metro C ha gonfiato gli affitti mentre la crisi ha sgonfiato i redditi. L’agenda dello sportello di zona per il diritto alla casa è zeppa di impegni: martedì picchetto antisfratto di Najib, mercoledì per Massimo e la sua famiglia, e così via per Eleonora e Antonella e poi ancora per Mimmo o Ahmed.
Fra le 30 e le 50mila famiglie, in tutta Italia, sono a rischio per la mancata proroga degli sfratti di fine locazione. Dall’inizio della crisi, sei anni fa, oltre 70 mila le sentenze di sfratto alla fine dello scorso anno, più di 30mila quelli eseguiti, il 90% dei quali per morosità, quasi sempre incolpevole. Il 70% di queste famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori, portatori di handicap) previste dalla legge per la proroga (lo stesso Viminale ammette l’incompletezza dei suoi dati). Ogni giorno sono 140 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica. Una sentenza di sfratto colpisce, secondo le statistiche una ogni 353 famiglie. Ma, escludendo le famiglie proprietarie di case e gli assegnatari di allogggi pubblici, significa che ogni anno in Italia una sentenza di sfratto, quasi sempre per morosità incolpevole, tocca una famiglia su quattro. E non c’è un sindaco che si ricordi dell’articolo 42 della Costituzione: “La proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale”, anzi ogni blanda misura, dal buono casa al contributo affitto, fino ai residence (che i palazzinari romani vogliono prorogare all’infinito al punto da aver disertato la gara per il bando che avrebbe dovuto sostituirli) sembra più un sostegno alla proprietà privata che una risposta all’emergenza.
Non basta, nelle ore immediatamente successive allo sgombero della Ex Telecom, la polizia irrompeva a Pisa, pistole alla mano, per sgomberare un luogo occupato nell’Ateneo e, a Porta Pia, venivano caricati con forza i senza casa che manifestavano sotto al Ministero dei lavori pubblici in solidarietà con i bolognesi. La portata simbolica delle azioni di polizia appare ad Armati più devastante degli effetti materiali. «Ci hanno cacciati con gli stessi idranti che si adoperano per l’immondizia. Questo per loro siamo». Più che la mole degli sfratti, a ossessionare il governo, ci sono le occupazioni a scopo abitativo, 110 solo a Roma, decine di migliaia di nuclei familiari, più la città invisibile degli inquilini senza titolo o delle occupazioni in solitaria, a volte ambigue. Il dossier occupazioni è il chiodo fisso di ogni prefetto nei tavoli con i vari assessori. La gestione dell’emergenza casa, un po’ ovunque in Italia, sembra delegata direttamente alle questure. Pisciate collettive sui materassi e la demolizione dei bagni, quasi sempre, sono la “firma” finale delle operazioni di sgombero, cui seguono le vicissitudini giudiziarie per gli attivisti coinvolti. «Queste giornate – continua Armati – hanno rappresentato questo: la scomparsa degli spazi della mediazione. Non c’è più spazio nemmeno per quel ceto politico che sopravviveva fungendo da cerniera, da erogatore di porzioni di diritti».
Eppure, il presupposto delle proroghe degli sfratti consisteva nell’impegno del governo di sostenere con adeguati piani i comuni ma questi piani non si sono mai visti. E’ arrivato solo il Piano Casa (fratello del jobs act) del ministro Lupi poi costretto a mollare dallo scandalo “Grandi opere”. Ma quel piano gli sopravvive con quell’articolo 5, “Lotta all’occupazione abusiva di immobili”, che esclude gli occupanti dalla possibilità di allacciamento a pubblici servizi o dal diritto a ottenere la residenza e, con essa, a godere di diritti essenziali come l’accesso alle cure, all’assistenza domiciliare, l’iscrizione a scuola, la produzione della certificazione Isee, l’inserimento dei figli nello stato di famiglia. Negli articoli 3 e 4, invece, vengono messe in vendita le case popolari. «Quando fu discusso in Parlamento, molti esponenti del Pd dissero che quell’articolo doveva servire solo per stroncare la compravendita mafiosa di alloggi popolari occupati abusivamente – ricorda Guido Lanciano, segretario a Roma dell’unione Inquilini – nei fatti, però, si ripercuote su tutti accomunando la malavita e i movimenti. In generale, il Piano Casa è solo una mole di norme inapplicabili per gestire pochi soldi». E nelle stesse ore degli sgomberi violenti di Bologna, Roma e Pisa, la legge di stabilità toglie l’obbligo di tracciabilità ai soldi versati per gli affitti. Il governo che sgombera è anche quello che incoraggia l’evasione fiscale, il ricatto degli affitti al nero.
«Quel piano – riprende Armati – preceduto da una campagna di stampa martellante contro chi occupa, è la risposta politica agli Tsunami per il diritto alla casa (ondate di occupazioni che si sono succedute, soprattutto a Roma, tra il 2012 e il 2014, ndr) e all’accampata del 19 ottobre di due anni fa proprio a Porta Pia». Fu solo allora, grazie al ruolo trainante dei movimenti per il diritto all’abitare, che l’Italia sembrò smettere i panni di grande assente dall’indignazione che in tutta l’area Piigs mobilitava i settori colpiti dalla crisi. Settantamila persone sfilarono da San Giovanni fino alla sede del ministero delle Infrastrutture e, dopo tre giorni in tenda, una delegazione fu ricevuta da Lupi per discutere la “Carta di Porta Pia” predisposta dai movimenti. Nel Piano Casa, però, nessuna traccia di blocco degli sfratti, di piani di edilizia residenziale pubblica, di utilizzo sociale del patrimonio pubblico, di rigenerazione urbana, di blocco delle grandi opere, come reclamavano i movimenti. Solo quell’articolo 5, dalla dubbia costituzionalità, che sembra coronare il sogno di chi, inutilmente finora, aveva tentato – a Roma, Padova, Napoli, Torino, Milano, negli anni – di incastrare i movimenti con i teoremi giudiziari dell’associazione a delinquere “finalizzata all’estorsione di case o posti di lavoro”.
La Scintilla a Catania
CATANIA – giovedì 29 ottobre – ore 19
Al CSO LIOTRU di Via Montevergine 8, Cristiano Armati presenta “La Scintilla. Una storia antagonista della lotta per la casa“. Con l’autore interviene Simone Di Stefano del Comitato “Casa X Tutti – Catania“.
Che nelle metropoli italiane il prezzo di un affitto sia spesso superiore allo stipendio medio di un lavoratore, dice tanto sulla lotta per la casa e sulla realtà delle occupazioni abitative. Ma sul come, partendo da un bisogno, la pratica dell’azione diretta e dell’autorganizzazione abbia costruito una realtà di uomini e donne radicalmente avversi al sistema economico attuale, le statistiche tacciono, l’informazione mainstream diffama e la repressione colpisce inesorabile, distribuendo nel silenzio severe misure restrittive e anni di galera. Eppure anno dopo anno, azione dopo azione e, soprattutto, occupazione dopo occupazione, la lotta per la casa ha vinto la battaglia contro la rassegnazione e ha restituito un tetto a migliaia di persone espulse dal sistema.
Un libro scritto sulle barricate del ventunesimo secolo insieme ai militanti dei movimenti per il diritto all’abitare, in grado di spaziare dagli anni Settanta ai giorni nostri, dalla battaglia di San Basilio fino agli “Tsunami Tour” romani e alle nuove resistenze contro lo scempio delle grandi opere (la Tav) e dei grandi eventi (Expo): una narrazione partecipata e sorprendente; come una scintilla che, nella notte del capitalismo globale, continua a tenere viva la fiamma della rivoluzione.