Dicono che era un sorriso

Dicono che era campagna
quella terra bassa
dove ti portavano con un furgone
pieno di braccia,
nessuno ha mai visto la tua faccia
neppure adesso
che su quella terra sei morta.

Dicono che era mare
quella distesa immensa di acqua
che ti ha mangiato vivo
che ti ha strappato il respiro,
i tuoi sogni, adesso, non hanno più colore
perché nel posto dove sei
la gente non ha nome.

Dicono che era legge
anche quella divisa
dicono che l’hai derisa
e che non ti devi lamentare,
la pallottola che hai preso nella schiena
sei stato tu
che te la sei andata a cercare.

Dicono che era uno sfratto
perché così si è deciso
c’è la forza pubblica che aspetta
perché giustizia sia fatta,
ma la vergogna era troppa
così in quella corda
hai infilato la testa.

Dicono che era lavoro
quella fabbrica e quel cantiere
con le ciminiere
alte fino al cielo
che volevi assaltare
quando hai capito
che servono le ali per provare a volare.

Dicono che era un sorriso
quello che vi ha seppellito
ma che appartiene al padrone,
a cui non è mai stato reso
il vostro coraggio
a cui non è mai stato reso
il nostro dolore.

*

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Quando i poeti

Quando insegneremo
alle pietre a volare
tra le mani dei bambini
ai bordi delle strade,
quando le canzoni
cacceranno la fame
dalla bocca di tutti
con le rose e con il pane,
quando il sangue
tornerà a essere nuovo
come il desiderio
che ci fa chiamare uguali,
quando la storia
andrà come deve andare
cancellando la colpa
del peccato originale,
verrà finalmente il mondo
e il tempo della gioia
quando anche i poeti
impareranno a lottare.

Bevi troppi caffè, fumi troppe sigarette, scrivi troppe lettere

Bevi troppi caffè
fumi troppe sigarette
scrivi troppe lettere
e non ricevi mai risposte,
se chiudi gli occhi è peggio
perché poi ti svegli
tutto sudato
su un letto bagnato
da quel bambino
che non sei mai stato.

Ti chiedi come fare
a cancellare la colpa
per tutto quel male,
non capisci che è uguale
perché tanto non torna
il tempo presente
la libertà della mente
di chi gioca al presagio
battendo la sventura.

Ora,
ti resta la paura
di guardare nel vuoto
e non è l’ignoto
ma la certezza
che la mattina ti aspetta
una giornata
come minimo storta,
conosci la risposta

la tua bocca si apre
ma non dice basta,
consuma l’amore
insieme al terrore
che la morte non valga
questa fatica,
tu la chiami vita
però non credi all’inganno
e ripari quel danno
dove sempre ritorni.

Bevi troppi caffè
fumi troppe sigarette
scrivi troppe lettere
che neppure spedisci,
se non urli sparisci
e a fatica intuisci
come nulla vale
benedire le braccia
strette sui fianchi
delle piccole cose,

lasci agli altri le canzoni
che parlano di rose,
preferisci i lamenti
appena ascoltati
combatti una guerra
che non conosce alleati,
il tuo lavoro è sporco
puzza di inchiostro
imbevuto nel sangue
di troppe domande.

Non accetti la resa
preferisci lottare
e provare di nuovo
con la sigaretta in bocca
il caffè nella brocca
e una matita affilata
a tracciare su un foglio
alla luce del giorno
una strada diversa
dall’eterno ritorno.

Folgorazione

Ce ne stiamo così, tra i cavi dell’alta tensione, con il cuore in gola e le tasche vuote.

Ce ne stiamo così, affamati dai ladri, a sentirci chiamare ladri mentre moriamo per riappropriarci della nostra vita.

Ce ne stiamo così, generazione dopo generazione, è nostro quel rame, è nostra quell’acqua, è nostro quel carbone.

Ce ne stiamo così, senza neppure le foglie, distrutte da una colata di cemento, rinchiusi in un casermone.

Le nostre lacrime, la rabbia, ha reso dure come pietre.

Soltanto oggi, finalmente, ci temete.

*

Catanzaro, 18 giugno: tentano di rubare cavi di rame da una cabina, trentunenne muore folgorato

Pioverà

Pioverà.
E il fango, tracimando dalle fogne, affogherà i vostri figli negli asili a cui hanno avuto diritto in cambio di centocinquanta euro al mese dopo due anni di lista d’attesa.
Ne avevate due, di figli. E insieme non arrivavano a sei anni.
Pioverà.
Ma non basterà a lavare via le lacrime che versate per vostra moglie, morta annegata mentre andava a farsi visitare.
Cento euro di ticket li aveva già pagati. Poi ci sono voluti sette mesi per avere quell’appuntamento.
Pioverà.
E a uccidervi non sarà la morte. Ma le tangenti versate da un palazzinaro insaziabile a un politico corrotto.
Così uno ha spianato le montagne per fare spazio alla TAV, l’altro ha pippato tutta la notte e voi siete stati travolti dal fango mentre provavate a tornare a casa con la macchina nuova.
Peccato. Mancavano solo 75 rate e poi avreste finalmente potuto chiamarla “vostra”.
Pioverà.
Poi pioverà ancora.
Non aspettate la tomba.
Rivoltatevi ora.