Se i muri

Se quelle caserme potessero parlare…
– e le stanze segrete dire
il rumore del sangue sopra i muri
e del tubo dell’acqua infilato nella bocca
e delle lacrime soffocate da uno straccio…

Se quelle automobili potessero parlare…
– e le loro sirene lampeggianti
scrivere di blu la vera storia:
il sesso è gratis come il caffè,
preso al bar che appende i loro calendari.

Se quelle celle potessero parlare…
– e decidere ciò che davvero è giusto
resterebbero solo le macerie
a raccontare come tutto questo è stato
prima di essere ricoperte dalle ortiche.

…se i muri potessero parlare
tra le ortiche resterà la scusa
– perché le parole sono pietre
ma soltanto per chi le sa tirare.

Quelli che dicono (leoni da tastiera)

Quelli che dicono: voi che appartenete a una certa sinistra di traditori tipo vendola, migliore e altri, sono loro che votavano per una certa sinistra di traditori tipo vendola migliore e altri o persino per altri ancora peggio di questi.
Quelli che se dite che di lavoro si muore e di sfruttamento si muore vi rispondono che siete radical chic e figli di papà, sono loro i figli di papà: casa al mare, suv e smart.
Quelli che dicono voi buonisti che vi indignate se muore una balena ma non ve ne frega se qualcuno del vostro popolo perde il lavoro e viene sfrattato, sono loro che non hanno mai fatto nulla quando qualcuno di qualunque popolo ha perso il lavoro ed è stato sfrattato.
Quelli che dicono non sono razzista, ma… sono razzisti.
Quelli che dicono non sono fascista, ma… sono fascisti.
Quelli che dicono io una volta ero di sinistra, ma… sono razzisti e fascisti.
Quelli che dicono vorrei vedere se dodici negri stuprano tua figlia (si fanno le pippe mentre lo scrivono protetti dallo schermo del computer), sono quelli che per strada abbassano i finestrini della macchina e alle donne dicono ho un cazzo pieno d’amore per te puttana e scappano.
Quelli che dicono che così non si può più andare avanti, sono quelli che non vedono l’ora che la polizia arrivi a massacrare quelli che siccome così non si può più andare avanti scendono in piazza.
Quelli che dicono che non c’è più democrazia, perché se uno pensa sia giusto bruciare i bambini ebrei nei forni e qualcuno gli dice invece che no non è giusto allora bisognerebbe bruciarvi tutti comunisti ebrei negri di merda del cazzo…
Quelli che dicono che non c’è più democrazia sono quelli che per colpa della crisi hanno perso i diritti fondamentali della persona,
i valori su cui si basa la civiltà occidentale:
sette giorni di mare a riccione in bassa stagione,
e un iphone comprato a rate.

In pieno agosto

In pieno agosto
le raccomandate
il cielo
le fate, le notti stellate…

In pieno agosto
corri alla posta
lei ti guarda cattiva
lo fa perché resta

In pieno agosto
la polizia
tre colpi alla porta
la ferrovia,

bisogna partire
non sai più per dove
alla stazione
regali le ore

In pieno agosto
in piena tempesta
senza contratto
perdi la festa,

buste con dentro
libri e canzoni
l’inchiostro è il sangue
di chi non ha nome

Il tempo è scaduto
peccato mortale
in pieno agosto
pensare alla neve

In pieno agosto
col terremoto
componi un numero
ma squilla vuoto,

non sarebbe passato
se fosse presente
scendi dal treno
saluti il niente

In pieno agosto
continui a bere
continui a ingrassare
continui a lottare

in pieno agosto
contro il tormento
è uno sgombero, uno sfratto
o un pignoramento

In pieno agosto
tutto sudato
stare nel giusto
costituisce reato

In pieno agosto
un cane ti abbaia
la sua catena
però non l’allenta

di nuovo il sole
di nuovo il caldo
di nuovo scatole
che pesano tanto

In pieno agosto
c’è poco da fare
tu sei al mare
e io qui a lavorare.

La gente come noi

Diranno che siamo illegali,
perché abbiamo perso prima il lavoro
e poi la casa.
Diranno che siamo terroristi,
perché insieme al lavoro
abbiamo perso anche i documenti.
Diranno che siamo violenti,
perché abbiamo sfondato le porte
che ci costringevano a dormire per strada.
Diranno che siamo pericolosi,
perché non abbiamo casa, non abbiamo lavoro
ma non abbiamo neanche paura: vogliamo tutto.
Diranno che siamo prepotenti,
perché non siamo padroni di niente
ma neanche servi di nessuno.
Diranno che siamo ignoranti,
ma sappiamo serrare le fila in un picchetto
e resistere. Un minuto più di loro.
Diranno tante cose,
noi soltanto una:
la gente come noi non molla mai.

Non sono

Non sono Parigi
resto un senza casa
per questo le mie lacrime
significano qualcosa.

Non sono Charlie
sono disoccupato
e il pane con l’inchiostro
non me lo sono mai comprato.

Non sono Bruxelles,
non sono New York,
non sono Nizza:
sono la stella del mattino
di un avvenire
che ha smarrito il sole,
sono un operaio
in cassa integrazione.

Sono il giovane senza prospettive,
sono il migrante soffocato dalle onde,
sono i cinque euro
che spettano al bracciante.

Non sono Monaco
lo sanno tutti quanti:
frocio, negro, zingaro, drogato, disoccupato, comunista…
nelle periferie che allattano i perdenti,
mi hanno avvelenato
e ho perso i denti.

Per lottare
mi restano le unghie,
affilate con la luce degli scontri.

Sui giornali ho letto «siamo in guerra»
ma sulla strada
i cadaveri dei morti
non sono dei padroni,
sono i nostri.

Sarei stato capace di amarti

Sarei stato capace di amarti
come i tuoi occhi
azzurro verde lago
come il tuo animo
mutevole e sfuggente
e la tua vita,
con il dente avvelenato.

Sarei stato capace di amarti
come il mare
dentro i tuoi capelli
agitato,
tutte le volte che ti sveglio
tutte le volte
che ti sveglio per mangiarti meglio.

Sarei stato capace di amarti
e non credo che avrei sbagliato strada
perché avrei seguito le tue gambe
come il sole segue la giornata.

Al tramonto, sì
avrei pregato
e parlato lingue
e dialetti mai sentiti,
avrei smosso popoli e culture
per entrare nelle tue nature.

Sarei salito dove salgono i tuoi monti
e sceso dove scendono i tuoi fiumi,
dove certo, mi sarei nascosto
ma per non nascondere anche a te le mie paure.

Sarei stato capace di amarti
anche adesso, che è tutto finito
continuando a cercarti mentre crollo
tra la rete del mio letto e il comodino,
è per questo che stasera bevo vino
nel bicchiere vedo una scintilla
che al mattino è una bambina maltrattata:
il papà le ha regalato una capretta
ma la matrigna la capretta l’ha sgozzata.

Sarei stato capace di amarti
perché non credo alle favole,
lo vedi?
Le favole, tu me le racconti quando hai sete
ma soltanto se per bere poi ti butti
su quella fonte che conosci,
senza dubbi.

Sarei stato capace di amarti
come adesso, pensandoti per gioco:
giocando con ciò che resta
di me stesso
per non spegnere il calore del tuo fuoco.

Così mi spiace usare la sinistra
per un ricordo di appena tre minuti
ma la carta già si bagna, e si consuma
come i nostri tempi, ormai perduti.

Scusa ho un brivido… ma ecco, adesso passa
la matita, però, quella mi casca
e la rima esplode
come pioggia bianca.

Sarei stato capace di amarti
ma ormai non ha grande importanza
perdonami se ti mando una poesia
scritta di notte
con la mano stanca.

Piazza Verdi liberata

Mi succede / quando parto / per un posto, / pijo er treno / e finalmente / trovo er tempo / pe’ scrive / sulla carta / coll’inchiostro / quello che sento / che poi / è quello che penso.

Oggi / in direzione / di Bologna, / le parole / facevano / fatica / perché / se voi parlà / de Piazza Verdi / è il rispetto / che te fa / corre in salita.

Qui / quanta gloria c’è passata, / se parla de lotta / e quindi / de persone / che se so’ messe in gioco / pe’ trova’ / ‘na soluzione, / se no, / questo è poco / ma è sicuro / mo’ nun ce stavamo qui / a passà così le ore.

Adesso c’è chi ascolta / e c’è chi parla, / c’è chi beve / chi se bacia / e pure chi se fa’ ‘na canna, / ma pe’ fa’ cresce / tutta ‘sta passione / quarcuno qui / ha dovuto fa’ ‘na guerra cor padrone.

Me pare ieri / e invece guarda ‘n po’ / so quarant’anni, / er calendario / dice che stavamo ner ’77, / i fascisti s’affacciavano dalle fogne, / ma com’erano usciti / nelle fogne se sbrigarono
a tornacce.

Chiedetelo alle pietre de ‘sta piazza, / chiedetelo alle pietre, / addosso a ogni vetrina / spaccata / pe’ difenne ‘n partigiano / fucilato alle spalle / ‘na mattina.

Bandiere rosse / piansero quel lutto, / ma ora arzate l’occhi / e lo vedrete scritto / che ‘sta piazza nun è de Verdi, / ‘sta piazza è de Lo Russo, / un compagno nostro / che no / non è mai morto.

Ce stava pure lui qui l’altro giorno, / quanno da ‘sti pizzi ce voleva passa’ ‘n vigliacco, / er nome suo / scusate / non lo faccio / ‘ntanto lo sapete che se chiamo come er presidente der consiglio, / e je possa pijà ‘n corpo a quello stronzo / che a tutti e due non li manna a quer paese arzando ‘er braccio.

Erano i giorni / de piazza Verdi Barricata, / contro i fascisti / i razzisti / e l’infamoni, / quelli che fanno i sordi / sulla pelle de nonantri, / e che rideno si ner mare se rovesceno i barconi.

Perché dicono che i migranti vengono qui / e ce rubbeno ‘er lavoro, / ma maledetto è chi lo dice e maledetto è chi ce crede, / da Piazza Verdi Barricata / ner monno intero / s’è sparsa n’antra voce.

Ve ricordate de Ponte Stalingrado? / Sta sempre qui a Bologna / e dice «onore», / per chi
ha caricato puro li blindati / a mani nude / ma co’ la forza / che sta dentro a ‘n ideale.

Se chiama casa / lavoro / e reddito pe’ tutte e tutti / l’unica opera de cui ce ‘sta gran voja, / ce lo sa er popolo / che l’è annato a spiegà alle guardie / che a Piazza Verdi / hanno preso più
de quarche sveja.

Dentro all’università / ‘sta notizia / poco tempo fa è arrivata pure a ‘n professore, / uno che ‘nsegna – sì lo so, nun se sa come, / e che la guerra / secondo lui / a noi ce fa bene; / lo sai che c’è professo’? / Tu c’hai ragione / ma preparate a corre come ‘n matto, / perché l’unica guerra bona – te lo giuro / è quella che i poveri faranno contro l’oppressore.

Pijate / per esempio / gli occupanti, / quelli dell’Ex Telecom / giù alla Bolognina, / hanno passato ‘na giornata / – donne e omini / vecchi e ragazzini – / a combatte uniti ‘na battaglia / contro i giudici, / l’assessori, / i prefetti / e pure contro i cellerini.

La gente come noi non molla mai / è ‘na canzone / che canta l’occupante / e il facchino / che paura non ne ha / pure se in Emilia / lo tenevano a fa’ lo schiavo le cooperative der quattrino.

Un bel giorno / però / la musica è cambiata, / «Ah Poletti, mettitece te a caricà i TIR a tre euro all’ora!», / ce so’ i compagni e le compagne a fa’ er picchetto, / contro gli sfratti / oppure ‘ndo er lavoro nun è giusto, / ovunque finché nun arzamo er pugno / come alla Granarolo / quannè che avemo vinto.

Tutto questo / e mille cose ancora / deve raccontà / chi co’ l’occhi sua l’ha visto / dentro Social Log, al Crash, al Cua, al S.I. Cobas, al Cas / il desiderio che tanto grande ha fatto questo posto: / è la fame / e la sete di giustizia, / è quello che da sempre / s’è chiamato / «comunismo».

Per questo / voi / nun je credete / a chi sostiene che n’ammazza più la penna che la spada, / Piazza Verdi / ‘sta cosa qui / ce l’ha ‘nsegnata: / i geni nun cadranno mai dar cielo / se tutti insieme nun je damo ‘na spallata.

Perciò / scusateme se so’ venuto qui a parla’ romano, / ma che devo fa’? / Conosco solo questa lingua / e co’ lei lo dico a voce alta: / viva Bologna libera e meticcia!

La lingua mia

La lingua mia,
ce lo so
fa ride’ i polli
ma io la vojo adoprà
pe’ tirà giù li santi,
trova’ parole
bone pure pe’ li sordi,
quelle che dar letto
sgrulleno l’amanti.

Dicheno bene de li fanti,
chi se ne frega
io nun faccio sconti,
nun faccio sconti ai vivi e manco ai morti.

Le belle idee
me riempeno la panza,
er core nun lo butto giù’n casanza,
l’omini tengono bassa la capoccia
soltanto se l’ignoranza se li campa.

La vita,
ce sta chi se lo ricorda
nun sta a fa ‘e scintille colla legna,
ma
tra li mejo posti
se capa quelli ‘ndo la libertà ce regna.

E allora
nun scopro l’acqua calla
se li peggio ladri
li trovo ar Palazzaccio
e,
se la giustizia credo storta
me la pijo co’ chi è ‘nfame
e co’ chi è guardia.

Me la pijo co’ chi è ‘nfame e co’ chi è guardia
però
nun me piace chi se lagna,
ar potere, nun je vojo dà importanza
ce sta la lotta che m’aspetta nelle piazze
allora arzo er pugno
e ve saluto a tutti quanti.

Articolo uno

Eri ancora un bambino
quando hai pagato il motorino
che ti avevano prestato
con un avviso di reato
forse era rubato
ma non indossavi il casco
e non ti sei fermato,
hai continuato
con il materiale esplodente
era Natale
ma non fa niente
scriviamo bombacarta
così impari a girare
con il fumo in tasca
più o meno sempre,
non porta la divisa
ciò che chiami vita…
questa è l’ebbrezza
con cui ti sei permesso di guidare
oppure di urlare
contro il padrone
lo sai?
è diffamazione
ma tu lo hai fatto tre volte
senza alcun riparo
uguale a quello che hai occupato
terreno, edificio…
che cosa hai capito?
Oltraggio e resistenza
sono la conseguenza
del pugno chiuso
alle disposizioni
che regolano
le pubbliche riunioni,
hai violato anche quelle
ti abbiamo menato
ma ti sei rialzato
ed eri come prima.
La questura adesso
ha perso la pazienza
in gioco c’è la sicurezza
e ti meriti un’attenzione speciale
perché l’articolo uno
lo dice la legge
punisce il tuo male
decreto 159 del 6 settembre 2011
“pericolosità sociale”.