Sport e lotta: Sportpopolare.it a Bellinzona (Ticino)

BELLINZONA (Ticino): Sabato 25 giugno, il Collettivo Scintilla, in collaborazione con il Gruppo Majakovskij, Thai Boxing Bellinzona e l’Associazione Un Calcio Al Razzismo, organizza una giornata completamente dedicata allo sport popolare.
In una prima parte, alla palestra Thai Boxing Bellinzona si terrà uno stage di boxe con Lenny Bottai, compagno livornese antifascista e attuale campione italiano superwelter, e una discussione con lui sulla vita e la carriera di un campione del popolo fuori e dentro il ring.
Nella seconda parte, allo Snack-bar al triangolo a Bellinzona, ci sarà la presentazione di “Sportpopolare.it“, con Cristiano Armati e la presentazione della quinta edizione dell’AntiraCup Ticino con l’Associazione Un Calcio Al Razzismo.
A seguire, concerti, con Kali De Plata (rap militante, Zurigo) e Zurito Da Bidea & Digei Belzy (Dj set militant & Party, Bellinzona).

Sportpopolare.it a Bellinzona

Fuoco ai mediocri

La strada, con i suoi codici mai detti eppure compresi da chiunque l’abbia mai calcata. La piazza, con la scoperta di una politica destinata a tranciare con l’accetta la differenza tra chi sfrutta da chi viene sfruttato. E lo stadio, dove il rituale della battaglia nasconde un senso di appartenenza irriducibile alle logiche di un mondo completamente mercificato. Questo è il perimetro in cui l’epopea di Fuoco ai mediocri prende forma. Un romanzo duro e potente, ambientato nella città e tra la tifoseria della squadra – mai nominata eppure inconfondibile – più grande dell’Italia meridionale: prova più unica che rara di letteratura ultrà. Ma anche uno dei pochi libri scritti di chi – la vita dell’ultrà – può prima di tutto dire di averla vissuta.

NAPOLI, venerdì 24 giugno c/o Libreria Ubik di via Croce 28, prima presentazione di “FUOCO AI MEDIOCRI. Romanzo ultrà” di Giuseppe Milazzo.
Interverranno con l’autore: R.Ricco (DIPSUM – Università degli Studi di Salerno) – C.Armati (Red Star Press – Hellnation Libri) – G.Piacci (libraio Ubik)

Valerio, il tuo sapere la nostra vita: “Teppa” e “Ultrà” a Monza

Nell’ambito della rassegna “I bravi ragazzi vanno in paradiso, quelli cattivi dappertutto. Storie di proletari, controculture e resistenze”, venerdì 17 giugno, il Foa Boccaccio (Monza) organizza una serata in ricordo di Valerio Marchi nel decennale della sua scomparsa. Questo il programma della manifestazione:

ORE 20: PIZZATA BENEFIT DIFFIDATI MASNADA DAL POZZO
ORE 21: PRESENTAZIONE dei volumi “Ultrà” e “Teppa” di Valerio Marchi, con Cristiano Armati (Red Star Press / Hellnation Libri)
ORE 23: DJSET SKA-ROCKSTEDY-REGGAE

TEPPA. STORIE DEL CONFLITTO GIOVANILE DAL RINASCIMENTO AI GIORNI NOSTRI; Valerio Marchi (Red Star Press, 2014).

Cosa si nasconde dietro i fenomeni di teppismo giovanile che hanno accompagnato in modo costante il processo di civilizzazione?
Cosa spinge tanti ragazzi ad assumere atteggiamenti che la cultura dominante considera negativamente, e in molti casi sanziona?
Questo libro ripercorre e interpreta le forme che il «teppismo» è andato assumendo fin dagli albori della società moderna: dalle violenze dei «putti» cinquecenteschi alle compagnie di vagabondaggio del secolo successivo, dalle bande giovanili della Parigi post-rivoluzionaria ai Victorian Boys londinesi, dal «coatto» pasoliniano al Teddy Boy anglo-americano. Fino ai fenomeni dell’età recente: l’hooliganismo calcistico, le gang statunitensi e, più in generale, quel «conflitto molecolarizzato» che segna il nostro presente.

ULTRA’. LE SOTTOCULTURE GIOVANILI NEGLI STADI D’EUROPA; Valerio Marchi (Red Star Press, 2015)

«Teppisti» e «alcolizzati», quando si tratta di assegnare un aggettivo ai tifosi che seguono abitualmente le squadre di calcio, la stampa main stream non ha mai grossi dubbi e, in articoli pieni d’indignazione, continua nei decenni ad accostare il termine ultrà alla parola violenza come se si trattasse di sinonimi. Ma cosa c’è dietro l’attitudine al conflitto sociale che caratterizza la militanza ultrà? Quali sono le ragioni di una rabbia mai compresa dalle inchieste sociologiche legate al fenomeno? Qual è la storia di un movimento che attraversa l’intera Europa, restando l’unica spina nel fianco di un sistema-calcio ormai quasi completamente addomesticato dalla televisione?
A queste domande Valerio Marchi risponde con la consueta originalità e grazie all’esperienza diretta della materia trattata, in uno dei pochi libri in circolazione in cui, a prendere la parola per parlare di ultrà, è uno di loro.

VALERIO MARCHI (Roma, 1955 – Polignano a Mare, 2006), sociologo e fondatore delle celebre «Libreria Internazionale» di San Lorenzo, fu prima di tutto un attore protagonista delle sottoculture giovanili a cui i suoi libri sono dedicati. Esponente di spicco del movimento skinhead, militante antifascista, tifoso della Roma e grande esperto di musica punk, reggae e ska, è autore, tra l’altro, dei volumi  “SMV. Stile Maschio Violento: i demoni di fine millennio” (1994), “Nazi-Rock. Pop music e Destra radicale” (1995),  “La sindrome di Andy Capp. Culture di strada e conflitto giovanile” (2004), “Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio” (2005) e, ripubblicati in questi anni da Hellnation Libri / Red Star Press, “Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa”, “Teppa. Storie del conflitto giovanile dal Rinascimento ai giorni nostri” e “La morte in piazza. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia”.

Valerio. Il tuo sapere, la nostra vita

Figli di nessuno

ROMA – Facoltà di Sociologia – mercoledì 15 giugno – ore 17

Presentazione di "Figli di nessuno" di Sergio Bianchi

Negli anni Settanta una generazione senza padri e senza padrini si rivolta nella provincia del profondo nord: sono loro i “Figli di nessuno” di Sergio Bianchi; un libro sulla storia dell’Autonomia Operaia nella provincia lombarda. Un’occasione per riflettere sulla militanza contemporanea e sui percorsi che la legano a una tradizione più antica. Con la partecipazione di Cristiano Armati e dell’autore.

A cura del Collettivo AutOrganizzato Sociologia e Stess

Piazza Verdi liberata

Mi succede / quando parto / per un posto, / pijo er treno / e finalmente / trovo er tempo / pe’ scrive / sulla carta / coll’inchiostro / quello che sento / che poi / è quello che penso.

Oggi / in direzione / di Bologna, / le parole / facevano / fatica / perché / se voi parlà / de Piazza Verdi / è il rispetto / che te fa / corre in salita.

Qui / quanta gloria c’è passata, / se parla de lotta / e quindi / de persone / che se so’ messe in gioco / pe’ trova’ / ‘na soluzione, / se no, / questo è poco / ma è sicuro / mo’ nun ce stavamo qui / a passà così le ore.

Adesso c’è chi ascolta / e c’è chi parla, / c’è chi beve / chi se bacia / e pure chi se fa’ ‘na canna, / ma pe’ fa’ cresce / tutta ‘sta passione / quarcuno qui / ha dovuto fa’ ‘na guerra cor padrone.

Me pare ieri / e invece guarda ‘n po’ / so quarant’anni, / er calendario / dice che stavamo ner ’77, / i fascisti s’affacciavano dalle fogne, / ma com’erano usciti / nelle fogne se sbrigarono
a tornacce.

Chiedetelo alle pietre de ‘sta piazza, / chiedetelo alle pietre, / addosso a ogni vetrina / spaccata / pe’ difenne ‘n partigiano / fucilato alle spalle / ‘na mattina.

Bandiere rosse / piansero quel lutto, / ma ora arzate l’occhi / e lo vedrete scritto / che ‘sta piazza nun è de Verdi, / ‘sta piazza è de Lo Russo, / un compagno nostro / che no / non è mai morto.

Ce stava pure lui qui l’altro giorno, / quanno da ‘sti pizzi ce voleva passa’ ‘n vigliacco, / er nome suo / scusate / non lo faccio / ‘ntanto lo sapete che se chiamo come er presidente der consiglio, / e je possa pijà ‘n corpo a quello stronzo / che a tutti e due non li manna a quer paese arzando ‘er braccio.

Erano i giorni / de piazza Verdi Barricata, / contro i fascisti / i razzisti / e l’infamoni, / quelli che fanno i sordi / sulla pelle de nonantri, / e che rideno si ner mare se rovesceno i barconi.

Perché dicono che i migranti vengono qui / e ce rubbeno ‘er lavoro, / ma maledetto è chi lo dice e maledetto è chi ce crede, / da Piazza Verdi Barricata / ner monno intero / s’è sparsa n’antra voce.

Ve ricordate de Ponte Stalingrado? / Sta sempre qui a Bologna / e dice «onore», / per chi
ha caricato puro li blindati / a mani nude / ma co’ la forza / che sta dentro a ‘n ideale.

Se chiama casa / lavoro / e reddito pe’ tutte e tutti / l’unica opera de cui ce ‘sta gran voja, / ce lo sa er popolo / che l’è annato a spiegà alle guardie / che a Piazza Verdi / hanno preso più
de quarche sveja.

Dentro all’università / ‘sta notizia / poco tempo fa è arrivata pure a ‘n professore, / uno che ‘nsegna – sì lo so, nun se sa come, / e che la guerra / secondo lui / a noi ce fa bene; / lo sai che c’è professo’? / Tu c’hai ragione / ma preparate a corre come ‘n matto, / perché l’unica guerra bona – te lo giuro / è quella che i poveri faranno contro l’oppressore.

Pijate / per esempio / gli occupanti, / quelli dell’Ex Telecom / giù alla Bolognina, / hanno passato ‘na giornata / – donne e omini / vecchi e ragazzini – / a combatte uniti ‘na battaglia / contro i giudici, / l’assessori, / i prefetti / e pure contro i cellerini.

La gente come noi non molla mai / è ‘na canzone / che canta l’occupante / e il facchino / che paura non ne ha / pure se in Emilia / lo tenevano a fa’ lo schiavo le cooperative der quattrino.

Un bel giorno / però / la musica è cambiata, / «Ah Poletti, mettitece te a caricà i TIR a tre euro all’ora!», / ce so’ i compagni e le compagne a fa’ er picchetto, / contro gli sfratti / oppure ‘ndo er lavoro nun è giusto, / ovunque finché nun arzamo er pugno / come alla Granarolo / quannè che avemo vinto.

Tutto questo / e mille cose ancora / deve raccontà / chi co’ l’occhi sua l’ha visto / dentro Social Log, al Crash, al Cua, al S.I. Cobas, al Cas / il desiderio che tanto grande ha fatto questo posto: / è la fame / e la sete di giustizia, / è quello che da sempre / s’è chiamato / «comunismo».

Per questo / voi / nun je credete / a chi sostiene che n’ammazza più la penna che la spada, / Piazza Verdi / ‘sta cosa qui / ce l’ha ‘nsegnata: / i geni nun cadranno mai dar cielo / se tutti insieme nun je damo ‘na spallata.

Perciò / scusateme se so’ venuto qui a parla’ romano, / ma che devo fa’? / Conosco solo questa lingua / e co’ lei lo dico a voce alta: / viva Bologna libera e meticcia!

Piazza Verdi: La “Piazza Letteraria” bolognese

Mercoledì 8 giugno
dalle ore 17.30 fino alle 00.00
a Piazza Verdi / Bologna

> Letture/performance/voci/suoni con:

Gianluca Morozzi (scrittore), Sigaro (cantante Banda Bassotti), Alessandro Berselli (scrittore) Gnut (cantautore) Fabio Rodda (scrittore), Riccardo Balli (dj e scrittore), Duka (scrittore), Marco Philopat (scrittore), Paradoz (cantautore) Patrick Fogli (scrittore), Acusticazzi (band), Suz (cantante), Andy Gil Scott-Herron (poeta), Alberto Masala (poeta), Cristiano Armati (scrittore), Enzo Minarelli (poeta), Sergio Rotino (fine dicitore), Tobia D’Onofrio & Vanni Santoni (scrittori), Marco Cantini (cantautore), Movimento Emancipazione della Poesia (MEP, poeti), Nic Gugliuzza (zoopalco, poeti), Voltus (vincitore premio Dubito), Agata + Daniele Barbieri (attori), Sante Notarnicola (poeta), Messia (rapper), Paolo Cerruti (poeta), Valerio Varesi (scrittore), Dome Bulfaro (poeta), Francesca Bonafini (scrittrice), Massimo Vitali (scrittore) e tanti altri…

All’interno della prima giornata del BITT festival Laboratorio Crash!, CUA, Agenzia X presentano la seconda edizione della Piazza Letteraria, un evento libero e gratuito dove prenderanno parola/e più di 50 tra scrittori e scrittrici, musicist*, teatranti, studenti e studentesse, poeti, attori e attrici, dj’s, rapper in performance/reading di 10-15 minuti. Lo Slam-x in salsa bolognese si svolge nella “PIAZZA” per eccellenza: dalle 17:30 alle 00:00 in Piazza Verdi, dove si accavallano ogni giorno lingue e dialetti differenti, si alterneranno readings, voci, incursioni teatrali/poetiche, in un unico flow meticcio che compone la Bologna di ieri e di oggi. Saranno presenti i banchetti delle case editrici indipendenti come Agenzia X, RedStarPress e Bebert e quelli delle librerie bolognesi Modo Infoshop e Trame.

Bologna - Piazza Letteraria - Seconda edizione

In memoria di Ciro Principessa: Lettere dalla Strada a Tiburtino III

Lettere dalla Strada a Tiburtino III

Roma, 1 giugno 2016: nasce a Tiburtino III (Circolo Arci “Concetto Marchesi” – Via del Frantoio) l’Unità Ciro Principessa, in ricordo del militante comunista ucciso da mano fascista a Roma il 20 aprile del 1979 e con l’obiettivo di promuovere il NO al referendum di Renzi e la difesa della Costituzione. Dopo l’assemblea popolare, prevista per le 17e30, e la cena popolare delle 20, alle 21e30 si esibiranno i Lettere dalla Strada.

Sara si poteva salvare

Sara si poteva salvare.
Lo affermano tutti i giornali, anche il «Corriere della Sera»
A pagina 5 dell’edizione di oggi, martedì 31 maggio, un virgolettato riprende le parole di Maria Monteleone, pm di Roma: «Il mio è un invito caldo a chi si imbatte in una ragazza di notte, in una strada isolate che chiede aiuto: fermatevi o chiamate immediatamente la polizia».
Chiamate la polizia, dunque.
Già, ma quale polizia?
La stessa che è intervenuta quando a urlare aiuto c’era Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi?
O quella che il 30 giugno del 2001 ha “affrontato” Michele Ferrulli a Milano riconsegnandolo morto ai suoi familiari dopo l’intervento?
Sara si poteva salvare. E Michele avrebbe potuto avere giustizia.
Invece la Corte d’Assise del capoluogo lombardo, assolvendo i poliziotti responsabili del trattamento, ha sentenziato che «il fatto non sussiste» e che i colpi inferti a Ferrulli erano necessari a vincere la resistenza dell’uomo.
Questo in fondo accade quando si fa confusione tra colpevoli e innocenti: tante donne che alla polizia si sono rivolte perché minacciate o perseguitate dall’ex di turno non hanno avuto un sostegno molto diverso dal nulla. E così, mentre molte di queste donne sono state aggredite e uccise dagli stessi che pure avevano denunciato, si omette sempre di spiegare come mai è proprio il nulla ciò che le attuali diramazioni dello Stato articolano di fronte al tema dei bisogni, qualunque genere di bisogni.
Sara si poteva salvare, in ogni caso.
Perché mentre lei veniva bruciata viva sono passati per via della Magliana, a Ponte Galeria, almeno due motociclisti, che hanno visto la ragazza urlare e dimenare le mani, ma non si sono fermati.
Hanno evitato di cimentarsi con un assassino, e forse anche con la sua pistola: oggi i giornali ci informano che chi ha ucciso Sara faceva la guardia giurata, ma non ci dicono se fosse armato o meno. Un silenzio necessario a sottrarsi dal tema della privatizzazione degli stessi corpi di polizia in atto, di fatto, da molto tempo in Italia?
Prima di quei motociclisti, in ogni caso, a non fermarsi sono stati una banda di speculatori, che hanno preso una delle poche zone verdi di Roma stuprandola con l’acciaio e con il cemento. E i marciapiedi? E l’illuminazione? E le piazze e i punti d’incontro? E tutte quelle opere in grado di favorire l’unica vera forma di sicurezza all’interno dei quartieri – la socialità diffusa, la possibilità di percorrere strade che le persone vivono e attraversano?
Ma se questo contesto è figlio – come e è figlio – della violazione sistematica di piani regolatori e norme edilizie, dove sono le condanne dei palazzinari responsabile di questi scempi?
Sarà però si poteva salvare.
Come si salvano, ogni giorno, decine di donne sole, spesso con bambini e bambine piccole, ancora più spesso già capaci di affrontare e vincere storie di botte subite dentro casa – capaci di cacciare da loro stesse la presenza di uomini violenti e di affrontare un lavoro che non c’è o si perde e quindi un affitto che non si riesce a pagare. Ci pensano altri uomini, e anche altre donne (la polizia), a questo punto, ad arrivare ancora nel cuore della notte: a rompere le inferriate delle finestre e a cacciare quelle donne e i loro figli in mezzo alle strade.
Di fronte a un simile scempio, sono in tanti e in tante a girarsi dall’altra parte. Ma non tutti e non tutte. Altri e altre in simili casi si organizzano e accorrono: difendono lo sfratto e la dignità; spesso ne ricavano un rinvio dell’esecuzione del provvedimento (firmato da un magistrato), ancora più spesso denunce per resistenza aggravata e un numero incalcolabile di manganellate, sferrate tenendo il tonfa dalla parte opposta rispetto al manico, apposta per fare più male (la legalità…).
Si ricorda spesso, tra l’altro, come la violenza di genere non abbia né classe né tantomeno “razza”. Ed è senz’altro vero. Eppure ci si è mai confrontati – prima di archiviare il tutto alla voce “femminicidio” – con l’enorme numero di reati compiuti in ambiente domestico ai danni di mogli, fidanzate ed ex da appartenenti alle forze dell’ordine o da guardie giurate? Ci si è mai confrontati, o invece in questo caso non sono stati solo due motociclisti a scappare, anche con l’enorme numero di casi in cui nelle caserme, nei carceri, nei CIE a stuprare sono proprio gli appartenenti alle forze di polizia?
Sara però si poteva salvare.
Come ci si salva a Ventimiglia, per esempio. Dove pure non mancano gli uomini e le donne che non hanno alcuna intenzione di girarsi dall’altra parte.
Ci sono tante donne lì e Sara è in ognuna di loro. Ognuna di loro costretta a subire una doppia oppressione, di genere e di classe: e la magistratura magari si girasse dall’altra parte, no, non si gira affatto. Ma spalanca gli occhi e distribuisce condanne e fogli di via.
Sara però di poteva salvare.
Con una ruspa in grado di passare sopra a mille bar con i quattro tavolini di plastica fuori e, seduti con una birra in una mano e la ricevuta delle scommesse nell’altra, un gruppetto di ragazzi – maschi, cattolici, eterosessuali e italiani per lo più – soli con la propria testa bacata. Passa una donna come Sara e qualunque coglione presente si sente autorizzato ad aprire la bocca: «quanto sei bona, vieni qui bella, anvedi che bocce, aoh, ciò un cazzo pieno d’amore per te…».
Questo, fin da quando Sara – una Sara per tutte – era ancora piccola, undici o dodici anni, aspetta le donne in ogni angolo di strada: un’intimidazione continua, un eterno fischiare, uno stalkeraggio diffuso a cui si demanda il sacro compito di imporre le cose così come stanno in questa società. Una società dove il ricco ha il povero, il povero ha l’immigrato e tutti hanno le donne contro cui – boccia di birra in una mano e ricevuta della scommessa nell’altra – sfogare l’ansia generata da un possesso eternamente negato: il possesso dell’uguaglianza, della giustizia, della libertà, della fraternità e della sorellanza.
Sara si poteva salvare, certamente.
Bloccando tutti gli sfratti, gli sgomberi e i pignoramenti.
Travolgendo tutti i reticolati di filo spinato.
Distruggendo tutte le macchine dell’umiliazione e dello sfruttamento.
Spezzando il cortocircuito che perpetua lo sfruttamento all’interno dei rapporti personali, sacrificando le donne al simulacro del “possesso” e innescando la mentalità che si sente autorizzata a punire i rifiuti di sottostare a una simile logica – la stessa logica che trasforma gli esseri umani in merce quando fanno gli operai e le operaie e le donne in cose all’interno dei rapporti di coppia.
Sara si poteva salvare.
Imboccando con decisione la strada della decolonizzazione del cuore e del pensiero, l’unica dove è possibile cominciare ad articolare davvero la parola «amore».
Qualcuno e qualcuna a un simile processo dà il nome di Rivoluzione e la descrive come un cambiamento dello stato di cose presenti.
Sono le stesse persone che se vedono Sara gridare e gesticolare in cerca di aiuto si fermano e intervengono come si sono fermati e sono intervenuti quando un’altra Sara doveva essere buttata in mezzo a una strada da uno sfratto; quando un’altra Sara ha avuto la necessità di un’atmosfera solidale al culmine di una storia di violenza domestica; quando un’altra Sara si è vista attaccare per il modo in cui veste, parla o ama (nessun contesto è escluso dal problema).
Sono le stesse persone che rispetto alla voce “sessismo” non si limitano a generare una teoria ma costruiscono una pratica di combattimento quotidiano, capace di strappare libertà e autonomia: capace di costruire quel processo di decolonizzazione non solo necessario, ma indispensabile.
Un processo di decolonizzazione capace di rovesciare quei tavoli in quei bar – in tutti i bar – dove oggi, con Sara bruciata viva, torme di uomini (maschi, bianchi, cattolici, eterosessuali… a chi se non al loro ego malato e represso si rivolge il fortunato e orrido slogan «prima gli italiani»?) continuano a sedere, a fischiare, a importunare, a incarnare il ruolo di agenti di una colonizzazione capace di salvare solo il profitto.
Invece è Sara che si poteva salvare.

La scuola dell’odio a Milano

SABATO 21 MAGGIO dalle ore 17:00 presso la PANETTERIA OCCUPATA di via Conte Rosso 20 (Milano) PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LA SCUOLA DELL’ODIO. Sette anni nelle prigioni israeliane” di Bruno Breguet. Con Cristiano Armati (Red Star Press) e un compagno palestinese.

La scuola dell'odio a Milano

“Militante ticinese del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Bruno Breguet ha appena vent’anni quando, nel 1970, viene arrestato ad Haifa dalle autorità israeliane. Accusato di svolgere attività terroristica per conto del Fronte, Breguet viene percosso e torturato a lungo prima di essere trasferito nel carcere di Ramleh dove, per ben sette anni, rimarrà a disposizione dei suoi aguzzini, che riservano ai prigionieri politici i trattamenti più duri senza riuscire ad avere la meglio sulla determinazione con cui i militanti riescono a lottare perfino dietro le sbarre di una cella di sicurezza.
Nella prigione, Breguet continuerà la sua battaglia antisionista, rifiutando di scendere a patti con i servizi segreti e, in seguito, organizzando sommosse, preparando piani di evasione e tentando sempre e comunque di comprendere, attraverso lo studio, la natura dei mostri generati da una società divisa in classi nel contesto della guerra di conquista condotta ai danni della Palestina dall’imperialismo israeliano.

Nato nel 1950 a Muralto, in Svizzera, entra a far parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina nel 1970 diventando, dopo l’arresto subito ad Haifa lo stesso anno, il primo non palestinese membro della Resistenza a essere processato e condannato da un tribunale israeliano. Costretto a subire durissime condizioni detentive, Breguet sconterà una pena di sette anni nel carcere di Ramleh, rifiutando sistematicamente di dichiararsi “pentito” e raccogliendo, al culmine di una mobilitazione internazionale, la solidarietà di attivisti e intellettuali.
Uscito di prigione nel 1977, Bruno Breguet è arrestato nuovamente in Francia nel 1982, accusato di essere membro dell’ORI, l’Organizzazione dei Rivoluzionari Internazionali di Ilich Ramirez Sanchez, più noto con il nome di battaglia di “Carlos”. Tornato in libertà tre anni dopo, Breguet si trasferisce in Grecia, dove lavora come carpentiere fino al 1995, anno in cui sparisce misteriosamente dalla motonave “Lato” lungo la rotta Ancona-Igoumenitsa.”

45 anni dopo l’arresto di Breguet, l’essenza dell’entità sionista di Israele non è mutata anzi l’occupazione è proseguita estendendo a dismisura i territori occupati dall’esercito israeliano relegando ormai i palestinesi in piccoli fazzoletti di terra divisi gli uni dagli altri dai villaggi dei coloni e dal muro. In tutti questi anni sono continuate le stragi dei palestinesi come quelle che periodicamente hanno colpito il territorio di Gaza, una striscia di terra trasformata ormai in un immenso lager a cielo aperto. Il popolo palestinese è perennemente vessato da rastrellamenti e arresti arbitrari, da deportazioni, dalla distruzione dei raccolti, dalla demolizione delle loro case. In tutti questi anni il numero dei prigionieri, rinchiusi nelle carceri israeliane ed anche in quelle dell’Autorità nazionale palestinese, è aumentato fino ad arrivare alla cifra di oltre 6000 detenuti. Una condizione difficile viene vissuta dai milioni di profughi palestinesi a cui viene di fatto negato il diritto al ritorno nelle proprie terre. Tutto questo avviene anche grazie al supporto che viene dato ad Israele dalle potenze occidentali, dagli USA ai vari paesi dell’Unione Europea Italia compresa, che in questo trovano sostegno dai regimi reazionari presenti nell’area mediorientale. L’Europa sta infatti muovendosi per la disgregazione e la frantumazione di quegli Stati che non sono totalmente asserviti, fomentando conflitti settari ed etnici e dove questo non basti intervenendo direttamente sul piano militare. Stiamo sempre più assistendo ad un vero e proprio processo di colonizzazione del Sud del Mediterraneo, un processo che ha come unico vero e proprio perno a livello locale lo Stato sionista di Israele a cui viene data mano libera per l’attuazione di una nuova tappa nel processo di annientamento del popolo palestinese. Ma questi processi sono messi in discussione dalla Resistenza del popolo palestinese che (in diverse forme fra le quali diversi momenti generalizzati di sollevazione e rivolta come “l’Intifada” tuttora in corso) conduce dall’inizio dell’occupazione sionista una difficilissima lotta per la propria esistenza, per la propria vita, per la propria libertà. Una lotta che è riferimento per tutte le masse arabe che vedono in essa una reale possibilità di liberazione dal colonialismo e dallo sfruttamento. Per poter continuare a resistere il popolo palestinese necessita anche della solidarietà e del supporto che deve giungere loro da tutti quelli che, anche in Occidente, non vogliono essere complici di questa barbarie. Sviluppando un movimento contro la guerra, qui nelle nostre metropoli, possiamo rafforzare la resistenza del popolo palestinese e trovare insieme, con quello spirito internazionalista che tanti anni fa informò le scelte di Bruno Breguet, una linea di “Fronte” comune.