ROMA, 12 dicembre 2015: l’Ex Questura di via Ostuni 9, al Quarticciolo, festeggia i suoi 17 anni di liberazione e di occupazione abitativa. Per l’occasione, alle 18, nei locali del Red Lab, aperto dagli occupanti per andare incontro all’esigenza di spazi sociali del quartiere, Cristiano Armati presenta “La Scintilla. Dalla Valle alla metropoli, una storia antagonista della lotta per la casa“. A seguire cena, brindisi e Los3Saltos in concerto.
Autore: Cristiano Armati
Inaugurazione Biblioteca Popolare SPARROW: Ultrà a Rende (Cosenza)
RENDE (COSENZA): venerdì 11 dicembre, a partire dalle 17 e 30, in occasione dell’inaugurazione della Biblioteca Popolare allo SPARROW Occupato di via Panagulis, Cristiano Armati presenta “Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa” di Valerio Marchi (Hellnation Libri – Red Star Press) insieme a Claudio Dionesalvi.
La Scintilla a Cosenza
COSENZA: la lotta per la casa è di scena nel capoluogo calabrese. Con la partecipazione di Social Log Bologna e Prendocasa Pisa, il 10 dicembre alle 18, presso l’ex Istituto Canossiane Occupato, Cristiano Armati presenta “La scintilla. Una storia antagonista della lotta per la casa” (Fandango Editore).
Dibattito aperto e, a seguire, cena meticcia.
Partigiani a Viterbo
VITERBO: domenica 29 novembre alle 18 il Comitato provinciale dell’ANPI, in occasione della giornata del tesseramento, organizza un incontro con Cristiano Armati presso lo spazio Arci “Il Cosmonauta” di via dei Giardini 11. Al centro dell’iniziativa, la presentazione del calendario “Partigiani 2016” e dei nuovi titoli della “Biblioteca della Resistenza“, fiore all’occhiello del catalogo curato da Armati per la casa editrice Red Star Press.
A seguire, la selezione di DJ Stromberg e del suo minestrone musicale.
Essere Skinhead: birra, boots, Oi! e… organizzazione politica delle controculture
ESSERE SKINHEAD è il titolo del libro scritto dal barlettano Ruggero Daleno, già voce degli Astensione, nel corso di una lunga detenzione domiciliare, subita a causa di accuse inerenti l’antifascismo militante. Per l’autore l’inattività forzata diventa un’occasione per riflettere su “il genere che ha il nome più corto e forse più stupido del mondo: Oi! e che cazzo significa?”
La risposta è un compatto fluire di rabbia, la stessa che si respira nei dischi dei Colonna Infame o dei Bull Brigade, ma che, messa nero su bianco da Ruggero, trasforma il racconto di un’esperienza personale in un manifesto generazionale e contro-culturale: il manifesto di una generazione e di una controcultura che quando parla di “ribellione” nelle sue canzoni – e la stessa vicenda dell’autore ne è una prova – non intende limitare la volontà di cambiare le cose a una comoda gestione delle proprie passioni nel tempo che i padroni intendono ancora lasciare libero dalla schiavitù del lavoro salariato.
Antisessismo, antirazzismo e soprattutto antifascismo, per questo, diventano gli ingredienti imprescindibili nella narrazione di Ruggero. Così come il rifiuto delle polveri: il cavallo di Troia che da decenni il sistema utilizza per prendere possesso delle menti e dei corpi delle giovani generazioni. Non è per finire a incipriarsi il naso, dice Ruggero in “Essere Skinhead”, che è stato forgiato lo slogan “la rabbia dei punk e l’odio degli skinhead”: questo slogan, suggerisce il libro di Ruggero, lascia trasparire in controluce un’altra parola d’ordine, e precisamente quel “noi siamo quel movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti” che tanto ha fatto agitare e che ancora agita il sonno altrimenti placido degli sfruttatori di tutto il mondo.
Insomma, un lavoro bello e autentico quello di Ruggero Daleno. SABATO 28 NOVEMBRE, alle 18, avrò modo di parlarne insieme all’autore al CSOA LA STRADA di Via Passino 24 (Roma) nel corso della prima presentazione del libro, organizzata nell’ambito della due giorni del festival “QUALE DESTINO PER L’OI!”, prezioso evento dovuto anche quest’anno dall’imprescindibile iniziativa di Roberto Gagliardi, con il suo Hellnation Store autentico punto di riferimento per tutta la scena italica e non solo.
Stato e rivoluzione: Lenin a Catania
Scritto alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, Stato e rivoluzione è il libro in cui Lenin abbandona la speculazione sui temi rivoluzionari per dare la parola alla Rivoluzione stessa, affrontando i problemi della guerra imperialista, del capitalismo monopolistico, dell’oppressione delle masse lavoratrici e del passaggio dalla dittatura della borghesia alla dittatura del proletariato. In un momento in cui la guerra imperialista determina i suoi effetti anche dentro la Fortezza Europa e i padroni giocano sui sentimenti della paura e dello stupore per imporre ancora di più il loro dominio, leggere e attualizzare questo libro aiuta a trovare le chiavi di lettura per comprendere e rovesciare il sistema capitalistico, la miseria e lo sfruttamento che questo impone.
Venerdì 27 novembre – ore 19 e 30 – c/o CENTRO POPOLARE EXPERIA (Via Plebiscito 903 – Catania): presentazione della nuova edizione di Stato e rivoluzione di Vladimir Lenin, a cura di Cristiano Armati (Red Star Press). Introduce Antonio Allegra (Rete dei Comunisti).
Benny vive nelle nostre lotte: No Pasaran! a Bari
Il 28 novembre del 1977, un branco di fascisti armati di mazze e coltelli si mosse verso Bari vecchia con l’intento di “impartire una lezione” al Movimento Studentesco del capoluogo pugliese. Sulla loro strada un’operaio comunista di diciotto anni, Benedetto Carbone: aggredito e lasciato esanime sull’asfalto.
“Abbiate fede nei vostri morti”, scrisse Pablo Neruda, “le loro bocche mordono ancora esplosivo e vanno all’attacco come oceani di ferro”. E fu per questo che il 30 novembre, a Bari, una folla di operai e studenti si impossessò della città, costruendo barricate e distruggendo sia la sede missina da cui si erano mossi gli assassini di Benny, sia i locali del sindacato fascista. BENNY VIVE NELLE NOSTRE LOTTE fu la promessa fatta quel giorno. E oggi, a distanza di 38 anni, BENNY VIVE NELLE NOSTRE LOTTE è il filo conduttore di un ricordo che vuole essere prima di tutto uno strumento utile a cambiare l’esistente. Perché, come declina il programma delle iniziative antifasciste stilato per l’occasione, antifascismo è antisessismo, antirazzismo, anticapitalismo e antimilitarismo.
Antifascismo è anche Internazionalismo. E a questo tema è dedicata, il 26 novembre, la presentazione di “No Pasaran! Il libretto rosso delle Brigate Internazionali Antifasciste” di Dolores Ibarurri, curato da Cristiano Armati e Filippo Petrocelli (Red Star Press). Il dibattito inizierà alle 19 e 30 presso la Libreria Sociale “Pavlos Fyssas” negli spazi della Ex Caserma Liberata (via Petroni 8/C).
Non ci rovinate il pranzo. Processo a un partigiano
NAPOLI – mercoledì 25 novembre – ore 20 e 30
Al CINEMA ASTRA di Via Mezzocannone 109, la MENSA OCCUPATA presenta NON CI ROVINATE IL PRANZO, esplorazioni ed esperimenti sul testo teatrale di Giancarlo Piacci.
NON CI ROVINATE IL PRANZO: liberamente ispirato alla storia di Giuseppe Bonfatti, che nel novembre 1990 uccise un ex repubblichino come vendetta per alcuni eventi della guerra civile, il testo di Piacci offre una lucida allegoria delle difficoltà a fare i conti con la memoria della Resistenza e il suo contenuto di guerra civile e di classe.
Il giorno della presentazione di un testo è un momento molto delicato, perché è il momento in cui l’autore presenta agli altri la sua creazione.
Bisogna spiegare le motivazioni che lo hanno portato a scrivere, spiegare i passaggi, motivare ed argomentare i contenuti, la scelta dello stile, della storia, descrivere le fasi di creazione e pubblicazione. C’è bisogno di ospiti, di un moderatore, di un programma,di giornalisti, di un pubblico di interessati. Anche lo spazio è importante, una biblioteca, una libreria, un luogo capace di proteggere e contestualizzare l’evento. La questione diventa di tipo formale…
Ma può succedere anche che l’autore si incontri con un regista, degli attori, una disegnatrice, un videomaker, un cinema, un evento sentito nello stomaco e nel cuore di tutti, il compleanno di uno spazio occupato, la mensa, che festeggia i suoi ricordi e le sue lotte riappropriandosi di uno spazio che profuma ancora di quella vecchia occupazione. Può succedere che le motivazioni formali e il voler far comprendere agli altri il proprio scritto, con la giusta distanza, passino in secondo piano e si senta invece la voglia e la necessità di divulgare le emozioni e le atmosfere che quelle parole su foglio bianco, quella storia ha suscitato. In questo caso non si ha voglia di spiegare ma di condividere in un confronto artistico il momento.
Lavoro a cura di Pino Carbone; con Maria Anzivino, Anna Carla Broegg, Maria Guida, Lorenzo Massa, con la partecipazione-voce registrata di Franco Javarone.
Video: Antonio Mastrogiacomo.
Costumi e grafica: Stefania Agostiniano.
Ospiti: l’autore Giancarlo Piacci e Cristiano Armati (Red Star Press).
Collaborazione: Antonio Tufano e Tommaso Caruso.
Piero Bruno: passione e morte di uno studente comunista
22 novembre, giornata storta. Il cielo grigio promette la pioggia e il vento se la prende con chi passa per le strade di Roma, quasi urlando che è meglio per tutti restare a casa. Ci sono giorni, però, in cui la libertà non accetta di restare casa. Non lo accetta l’8 giugno del 1960, tra Catete e Bengo, quando alla notizia dell’arresto di António Agostinho Neto una folla di sostenitori del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA) si mette in marcia reclamando il rilascio del loro leader. E non lo accetta nemmeno in Italia, il 22 novembre del 1975, mentre un corteo di duemila persone affronta il freddo intenso per chiedere a gran voce il riconoscimento dell’indipendenza della nazione africana, uscita vincitrice dal confronto con il regime coloniale portoghese.
L’8 giugno del 1960 l’esercito di occupazione del dittatore lusitano António de Oliveira Salazar aveva aperto il fuoco sulla folla ammazzando trenta persone. A Roma, quindici anni dopo, dalla testa del corteo che si snoda tra piazza Santa Maria Maggiore e piazza Navona si sgancia un gruppetto di giovanissimi militanti di Lotta Continua. I duemila che hanno preso parte alla manifestazione continuano a gridare slogan contro l’imperialismo e a salutare, nell’Angola di Neto, un altro paese in cui il marxismo ha consentito di portare al potere un rappresentante del proletariato. Le parole d’ordine della manifestazione sono musica per le orecchie dei ragazzi che imboccano via Muratori: lì, all’incrocio con largo Mecenate, c’è il cancello dell’ambasciata dello Zaire, uno Stato che attraverso il governo del feroce Mobuto sostiene per conto degli Stati Uniti le forze che si oppongono ai movimenti popolari in Africa centrale. Nell’animo di quel pugno di manifestanti c’è la volontà di andare oltre gli slogan e per questo, istruiti dal servizio d’ordine di Lc, alcuni giovani stringono tra le mani biglie d’acciaio e bocce piene di benzina, l’ingrediente necessario per portare a termine un’azione dimostrativa; una “fiammata”, come si diceva negli anni Settanta, da accendere in faccia ai nemici della Repubblica popolare dell’Angola per fare arrivare fino in Africa il rumore del Movimento e la sua solidarietà.
Idee ambiziose, quelle che girano per Roma il 22 novembre. Idee destinate a restare sull’asfalto. Perché quando il gruppo di ragazzi arriva a intravedere il portone dell’ambasciata dello Zaire si sente gridare: «Eccoli! Eccoli!».
Non c’è nemmeno il tempo di indietreggiare. Un gruppo di poliziotti e carabinieri, appostato nelle vicinanze, inizia a sparare. Le bottiglie incendiare volano senza procurare danni. Viene lanciato qualche sasso e due macchine, trascinate in mezzo alla strada, sono rovesciate per evitare una carica. Per difendersi è troppo tardi: due manifestanti sono feriti alla testa ma, miracolosamente, riescono a mettersi in salvo rientrando nel corteo; un terzo, colpito alla schiena, si accascia: il suo nome è Piero Bruno. Sulla sua carta di identità c’è scritto che è nato a Roma l’8 dicembre del 1957.
Piero abita alla Garbatella insieme ai genitori e a due sorelle. Studia da elettrotecnico e ama tante cose: la musica, le immersioni subacquee e Barbara. La mattina varca il portone dell’istituto tecnico industriale Armellini, per il resto, oltre a frequentare la sezione di Lotta Continua della Garbatella: «Faceva ciò che era giusto fare: autoriduzioni nei lotti popolari, gruppi di studio per evitare bocciature, cortei, collettivi».
In via Muratori, Piero è solo un corpo che urla di dolore: qualcuno gli si avvicina tentando di metterlo in salvo ma neppure adesso, quando è palese che nessuno è più in grado di nuocere in alcun modo, viene dato l’ordine di far tacere le armi. Il soccorritore viene colpito a un braccio e le pallottole infieriscono ancora sul ragazzo steso a terra ferendolo nuovamente, questa volta al ginocchio. Tanto basta ai tutori dell’ordine per sentirsi finalmente padroni della situazione. Un agente senza divisa esce allo scoperto e il modo in cui tratta Piero non sfugge allo sguardo allibito di una signora affacciata alla finestra di casa sua, in via Muratori:
Ho […] sentito che il ragazzo disteso per terra di lamentava e contemporaneamente ho visto un uomo in borghese sbucare attraverso i poliziotti che si è avvicinato di corsa al ragazzo, disteso per terra urlando, presso a poco «Ti pare questo il modo di ammazzare un collega» e ancora, «Cane, bastardo, carogna», ho quindi visto che l’uomo ha puntato la pistola verso il ragazzo disteso per terra, urlando «Ti ammazzo» e ho sentito il clic del grilletto. Il ragazzo ha gridato «No» ed ha fatto il gesto di coprirsi il volto con le mani. Quindi l’uomo, chinandosi sul ragazzo gli ha detto «ma io ti ammazzerei veramente» e lo ha scosso (dichiarazioni rese da una testimone alla competente autorità giudiziaria, 1975).
Piero Bruno, in realtà, non ha ammazzato nessuno. Eppure gli insulti non sono l’unica forma di mistificazione praticata quel pomeriggio dalle forze dell’ordine. L’ospedale San Giovanni è vicinissimo al luogo dell’agguato ma, anziché correre al pronto soccorso, si preferisce trascinare il ferito per decine di metri per fare in modo che il suo corpo finisca molto più vicino all’ambasciata dello Zaire e dare l’idea che i proiettili lo abbiano raggiunto mentre attaccava la polizia e non, come è accaduto, mentre tentava la fuga. Gli stessi bossoli, esplosi in una quantità così numerosa da formare un tappeto lungo la strada insanguinata, vengono raccolti in fretta: l’esatto ammontare del loro numero, in questo modo, non potrà mai più essere appurato.
Intanto si perde tempo prezioso. Sono soltanto le venti e trenta quando, con i proiettili in corpo e addosso il pallore dei morti, Piero Bruno entra in sala operatoria. Per “sicurezza” la polizia lo piantona come se fosse nelle condizioni di poter scappare da un momento all’altro. E lui, con un filo di voce, ha ancora la forza di sussurrare: «Ci penseranno i compagni a vendicarmi…».
Sono le sue ultime parole. Piero riesce a superare la notte ma, dopo due interventi chirurgici e il sopraggiungere di un blocco renale, nel pomeriggio del 23 novembre del 1975 smette di respirare. Gli mancavano soltanto quindici giorni. Poi avrebbe festeggiato il suo diciottesimo compleanno.
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Ma chi ha ucciso Piero Bruno?
Quando questa domanda viene posta in relazione al nugolo di militanti di sinistra uccisi dalla polizia la risposta più caratteristica è il silenzio mentre depistaggi e forzature giuridiche sono la regola più che l’eccezione della via giudiziaria alla ricerca della verità su chi muore per motivi di “ordine pubblico”.
Il caso di Piero Bruno, da questo punto di vista, è diverso dagli altri ma allo stesso tempo più atroce. Molto semplicemente, infatti, è stato possibile risalire all’identità dei militi che, agli ordini del vicequestore Ignazio Lo Coco, aprirono il fuoco il pomeriggio del 22 novembre 1975. I loro nomi, con le loro testimonianze, sono ancora lì, insieme ai buchi sui palazzi di via Muratori, tra le carte di un’inchiesta aperta dalla Magistratura per fare luce sul caso.
Si tratta del sottotenente dei carabinieri Saverio Bossio: «Ho esploso due colpi di pistola in direzione di un gruppo di persone col volto coperto che si trovava alla fine di via Muratori dalla parte del quadrivio».
Della guardia di pubblica sicurezza Romano Tammaro: «Mi sono avvicinato a loro sulla destra, ed ho visto un ragazzo a terra e due che lo trascinavano. Ho preso la pistola ed ho esploso dei colpi a scopo intimidatorio. I colpi erano diretti a terra».
E del carabiniere Pietro Colantuono: «I colpi che ho sparato, stando in piedi, li ho esplosi con l’avambraccio ad angolo retto rispetto al braccio, e quelli che ho esploso da terra, con l’avambraccio verso l’alto sempre in direzione del gruppo di giovani».
All’appello manca soltanto un altro personaggio, il più importante e, in un processo virtuale, senz’altro l’imputato principale. Si tratta di Oronzo Reale: il ministro degli interni a cui si deve la paternità della legge che porta il suo nome.
La Legge Reale, approvata il 22 maggio del 1975, concede alle forze dell’ordine di utilizzare le armi da fuoco con estrema disinvoltura, rende possibile la perquisizione personale senza l’autorizzazione di un magistrato, prescrive l’arresto per chiunque sia trovato in possesso di “armi improprie” (lasciando alle forze dell’ordine la discrezionalità di decidere cosa possa essere considerato arma impropria) e reintroduce la misura del soggiorno obbligato per ragioni politiche già in auge nel periodo fascista. Le conseguenze di queste misure sono note: soltanto tra il 1975 e il 1990 sono almeno 685 le persone uccise sulla base della legge Reale e, tra queste, almeno 208 sono risultate colpevoli soltanto di non essersi fermate a un posto di blocco o, più tragicamente, si essersi trovate nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Qualsiasi momento, cioè, in cui la polizia perde la testa e spara.
Con questi presupposti la sentenza di archiviazione pronunciata dal giudice istruttore in relazione alla morte di Piero Bruno nel 1976 è poco più di una formalità. A nulla serve un collegio difensivo che, nel tentativo di fare chiarezza sull’omicidio del ragazzo, arruola il senatore Umberto Terracini e Giuseppe Mattina, uno dei fondatori di Soccorso Rosso. Nelle aule in cui venne discusso il caso furono sostenute le teorie più assurde, come quella di un colpo di pistola che rimbalza sul terreno e, colpendo il ginocchio di Piero Bruno, impegnato in una torsione mentre lancia una molotov, si incunea nel suo corpo fino a risalire lungo la spina dorsale lacerandogli l’aorta. Una battuta di Dario Fo legata alle tante morti violente di quegli anni recita: «Non è la polizia che spara per uccidere, sono gli studenti che volano».
Ma c’è poco da ridere. Assolvendo i poliziotti che spararono a Piero il giudice sentenzia: «Se per gli interessi superiori dello Stato, congiuntamente alla difesa personale, si è costretti a una reazione proporzionata all’offesa, si può compiangere la sorte di un cittadino la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni, ma non si possono ignorare i principi di diritto».
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La storia, per fortuna, non si fa nelle aule dei tribunali. E se gli stessi giudici, avvolti nelle loro toghe lucide e nere, possono essere inappuntabili quando si tratta di applicare alla vita quotidiana le regole della legalità, la giustizia resta comunque un’altra cosa. Che si tratti di sensibilità, di utopia o di «istinto di classe», nella sentenza che archivia il caso di Piero Bruno di giustizia non c’è traccia. Per recuperare questo sentimento, lo stesso in cui eccellono i folli e i bambini, bisogna cercare altrove. Nelle parole «tu vivrai», per esempio. Cioè in un verso della poesia La libertà è un sogno scritta da Antonio Pinto, un soldato impegnato nella guerra d’indipendenza angolana commosso alla notizia di un compagno morto per la sua stessa causa in un Paese tanto lontano:
La libertà è sogno / sogno colmo di desiderio / lungo cammino di guerra e d’amore / percorso da gente di ogni terra / cammino di proletari, di guerriglieri.
È volontà ferma / di chi soffre, di chi vince / sul cammino del futuro, che è nostro.
Libertà è grido / è grido che tu hai gridato / arma che tu hai impugnato / sete che non hai saziato / vita che hai perduto.
Vermi ti rubarono la vita / vermi si nutrono ora del tuo corpo.
Ma tu vivrai!
E viva sarà la volontà nei cuori / che un altro mondo e gente vedranno / oltre il tuo esempio luminoso / vivrai!
Di te che lontano sei caduto per la nostra causa questo ci resta: / la libertà non è di un solo popolo / da te ci viene la forza / perché la lotta continui / fino alla vittoria finale.
Ancora nel corso delle celebrazioni per il trentennale, alla Garbatella si inaugura il murales realizzato dal CSOA “La Strada”: un affresco dove, al volto di Piero, si affianca quello di Carlo Giuliani, ucciso nel corso della protesta organizzata a Genova contro il G8 del 2001.
Si tratta di una connessione che non è dettata soltanto dal destino che, a distanza di tanti anni, riesce a iscrivere il nome di Piero Bruno e quello di Carlo Giuliani nello stesso libro nero della giustizia negata, ma anche dalla volontà di affermare la forza di una tradizione importante e fin troppo spesso dimenticata. La stessa tradizione che negli anni Settanta, per capire i propri morti, ricorreva alla memoria della Resistenza e che, se si trattava di parlare di ragazzi come Piero Bruno, non aveva dubbi: “nuovi partigiani”; questo è il loro vero nome.
Tra calcio e Resistenza: “I ribelli dello sport” a Capranica (Viterbo)
Il Circolo Arci Capranica “Claudio Zilleri” e il Comitato provinciale Anpi in collaborazione con la Red Star Press e Sportpopolare.it organizzano la due giorni: TRA CALCIO e RESISTENZA
Venerdi 20, ore 18, presso la sede dell’Arci Capranica (via Viccinella 4) Cristiano Armati e la redazione di Sportpopolare.it presentano “I RIBELLI DELLO SPORT” – Calendario 2016. Coordina Silvio ANTONINI (Presidente Cp Anpi Viterbo).