Parole nel Pallone: calcio e letteratura a Bologna

 

4-5-6 FEBBRAIO – BOLOGNA
Laboratorio Crash e Collettivo Universitario Autonomo Bologna in collaborazione con Red Star Press presentano: PAROLE NEL PALLONE

Il rapporto che unisce calcio e letteratura da oramai più di cento anni ha permesso di parlare di tutto ciò che vive fuori dai bordi del campo (politica, arte, culture) attraverso una sfera rotonda che girando descrive/racconta varie sfaccettature della società. Giganti della letteratura hanno versato fiumi di inchiostro sottolineando l’importanza del “fùtbol” come veicolo per raccontare il mondo: scrittori come Galeano, Soriano, Montalban, Arpino hanno narrato la contemporaneità in opere “letterario-calcistiche” di rara bellezza.
Ma l’elemento più bello del rapporto che lega parole e pallone sta nel semplice fatto che in tanti l’hanno attraversato giocandoci: da bambini si sono immaginati adulti e da adulti viceversa bambini, dando voce alle proprie passioni correndo appresso alla palla che rotola.
Negli ultimi anni, nel nostro paese abbiamo avuto una diffusione esponenziale di blog e portali web che sono voce a pieno titolo delle tante storie sul calcio e oltre il calcio; in contemporanea si articolavano tante discussioni intorno a nodi come le trasformazioni del tifo organizzato e delle curve, come aveva tracciato già anni fa il “sociologo di strada” Valerio Marchi, fino ad arrivare alle nuove esperienze di sport popolare che sono diventate una realtà diffusa e importante nello stivale che calcia il pallone. In questa edizione di “Parole nel Pallone” scopriremo, insieme a tanti esponenti della sfaccettata sfera calcistica, cosa voglia dire scrivere di calcio di ieri e di oggi, provando ad andare oltre, confrontandoci assieme come attraverso la scrittura possa dare una dimensione diversa ad un’esperienza meravigliosa: quell’eterno ritorno dell’azzuffarsi gioioso verso il gol.

Parole nel Pallone

GIOVEDÌ 4 FEBBRAIO – VIA ZAMBONI 38 – SCUOLA DI LETTERE: ore 17.00: “Splendori e miserie del gioco del calcio”, discussione su letteratura e pallone. Intervengono Darwin Pastorin (giornalista) e Giancarlo D’Arcangelo (scrittore e giornalista) /// ore 19.00: “Raccontare un gol in dieci pagine e un campionato in trenta righe: gli scrittori alle prese col calcio”, con Gianluca Morozzi (scrittore). – ore 20.00: apericena /// ore 20.30: “C’era una volta il… calcio”, chiaccherata a zona con Gianni Mura. A seguire dj set con WHP

VENERDI’ 5 FEBBRAIO – VIA ZAMBONI 38 – SCUOLA DI LETTERE – ore 17.00: “Come narrare un pallone che rotola in rete?”, discussione con i portali Valderrama Magazine, Crampi Sportivi, Zona Cesarini e Sportpopolare.it con special guest lo storico calciatore militante Paolo Sollier /// ore 18:30, discussione aperta con lo storico esponente dell’ICF dell West Ham (UK) Cass Pennant /// ore 20.00, apericena a cura del progetto “Corso di cucina meticcia” di Social Log Bologna /// ore 20.30, “Valerio Marchi: sulla strada delle controculture giovanili da Teppa a Ultras passando da Il derby del bambino morto, discussione con Wu Ming 5, Cristiano Armati, Claudio Dionesalvi, Francesco Berlingeri /// Concerto con i Mezzala (da Genova), a seguire dj set Indie-Rock + Rebecca Wilson

SABATO 6 FEBBRAIO – LABORATORIO CRASH! – Ore 20.00: presentazione di “Sankt Pauli siamo noi” (Derive Approdi), con l’autore Marco Petroni. A seguire proiezione di BEVERLEY – SHORT SKA FILM (Cass Pennant Production, 2015), una storia vera ambientata nell’Inghilterra degli anni 80, che tratta di razzismo, integrazione e di musica ska 2 tone /// ore 21.00, cena sociale benefit per la campagna “Emilio Resisti” del CSA DORDONI e il progetto La Terra di Piero (www.laterradipiero.it) /// Ore 22.00 concerto con Statuto – Klaxon – La BaLotta Continua a seguire dj set con Gaber & Berna – Bologna Calibro 7 Pollici.

Tutti o nessuno: oltre la “moratoria giubilare per gli spazi sociali”, fermiamo sfratti e sgomberi

Una moratoria giubilare per gli spazi sociali… è quanto emerge dalla partecipatissima assemblea indetta ieri, 27 gennaio, negli spazi di ESC sotto sgombero. Un’occasione, per il Movimento, di guardarsi negli occhi e ripartire sulla base di un’idea di sinistra semplice e chiara. Un’idea fondata sul principio secondo il quale dove ci sono i diritti non c’è il mercato: NO allo sgombero degli spazi sociali, dunque. E anche NO alla privatizzazione dei servizi pubblici e sociali. Ma, a proposito della sintesi assembleare e/o a come questa viene resa pubblica, dove è finito il NO agli sfratti? Dove si parla di NO agli sgomberi delle occupazioni abitative? Dove è finito lo sforzo per mettere in pratica un linguaggio capace di parlare per tutti e di tutti e non solo di sostenere rivendicazioni sacrosante ma parziali? Come si dimostra la solidarietà attiva nei confronti di chi, in questo momento, non ha neppure la possibilità di iscrivere suo figlio nel proprio nucleo familiare – per non parlare di cure mediche e diritto all’istruzione negati – grazie al piano casa di Renzi e Lupi, frutto della stessa ideologia che ora vuole mettere a valore gli spazi sociali procedendo con gli sgomberi? Come si inverte una simile tendenza e, a proposito di pratiche, come si sostiene la parola d’ordine “CON OGNI MEZZO NECESSARIO”, utilizzata nei manifesti affissi in questi giorni per descrive ciò che si è disposti a fare per la difesa degli spazi sociali, se non ci si mette in gioco quando a essere buttati per strada sono uomini, donne, vecchi e bambini? E, in modo particolare, come si può pensare di andare “oltre noi stessi”, un altro richiamo ripetuto più volte nel corso dell’assemblea, quando in quel “noi stessi” fatto di persone senza casa che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena non ci siamo mai?

La richiesta di una moratoria giubilare per gli spazi sociali a Roma è sacrosanta. Ma se non viene estesa agli sfratti e agli sgomberi nel loro complesso, a cominciare da quelli che si abbattono sulle occupazioni abitative, se non incarna cioè una prospettiva di salvezza davvero collettiva – o tutti o nessuno: non ci si può “salvare a pezzi”! – come quella che prevede un cambiamento radicale dell’esistente, non ha nessuna possibilità di rappresentare quell’opposizione alle politiche neoliberali che dice di voler essere. E, sganciata da una piattaforma popolare nel senso più esteso del termine, a dire la verità, non ha neppure alcuna possibilità di successo. A parlare nelle periferie resterà l’estrema destra spalleggiata dalle forze dell’ordine oltre che da un senso comune a cui è stata inculcata l’idea che la sinistra sia nella realtà roba da ricchi. Dopo di che sarà necessario difendere se stessi dall’avvento di un regime di stampo fascista, altro che dagli sgomberi degli spazi sociali.

PS: nella “giornata della memoria” si rende noto che il 28 gennaio, alle 5 del mattino, si procederà allo sgombero dello stabile di via Prenestina 1391, di proprietà dei padri Monfortani e tenuto vuoto da più di dieci anni. Con il manganello dello sgombero sulla testa, inutile precisarlo, non c’è alcun diritto sociale per nessuno. E citando Primo Levi, dato il valore simbolico della data, non c’è neppure Dio. Altro che “giubileo”.

Libri di ferro: Ultrà a Foggia

Cristiano Armati allo Scurìa di Foggia

Ultrà di Valerio Marchi

FOGGIA: domenica 31 gennaio alle 12, presso il CSOA Scurìa di via Da Zara 11, nell’ambito della rassegna “LIBRI DI FERRO – Fiera/mostra/mercato dell’editoria indipendente”, Cristiano Armati presenta “Ultrà. Le sottoculture giovanili negli stadi d’Europa” di Valerio Marchi (Hellnation Libri / Red Star Press).

Letteratura Ribelle: Red Star Press a Perugia

Red Star Press a Perugia

PERUGIA, 23 gennaio 2016: Ingrifati e Palestra Popolare Perugia presentano “LETTERATURA RIBELLE“.

Alle 18, allo spazio popolare Rudegrifo di via Albinoni 44, Cristiano Armati presenta il progetto editoriale RED STAR PRESS e Alberto Prunetti il suo “PCSP – Piccola ControStoria Popolare”.

A seguire apericena, musica, cori da stadio e schiamazzi.

Omofobia, antisessismo e ipocrisia: il caso Sarri

La verità – che parolone! – è che il calcio mainstream fa talmente schifo che quando sulla scena si presenta un personaggio come il sor Sarri: un signore di mezza età con lo stile dell’abitué del bar dello sport e non un fotomodello mancato olezzante lacca e silicone; quando a poggiare il culo sulla panchina è uno che non ha fatto differenza tra campi di terra malamente battuta e grandi platee televisive e che ha affrontato un percorso estraneo al riprodursi incestuoso tipico delle elite (sportive, economiche e politiche non fa nessuna differenza); quando a impossessarsi del prime time, delle pagine dei giornali e, magari, anche del campionato è un tipo che, addirittura, è in odore di comunismo… beh, ci mancava soltanto che Sarri avesse scelto di tenere corsi di antisessismo all’università per conferirgli il premio Lenin e a questo punto, riconciliati con l’orrore della mercificazione imperante, ci saremmo potuti rimettere le ciabatte in tutta tranquillità e continuare a passare i pomeriggi della nostra breve vita davanti a Sky.

I fatti sono andati diversamente. Sarri ha avuto a che ridire con Mancini e ha apostrofato l’ex golden boy doriano al grido di «frocio», «finocchio» e/o cose simili.

Troppo perfetto per essere vero, l’uscita di Sarri, per altro resa pubblica dallo stesso Mancini in differita, ha deflagrato come un sampietrino scagliato contro la vetrina di un negozio del centro. Ad alzare la voce contro l’allenatore del Napoli ci ha immediatamente pensato «la Repubblica», che quando non parla di Renzi ha la coscienza limpida di un neonato, auspicando in ordine crescente il licenziamento, la radiazione, la crocefissione di Sarri, che va bene tutto – dal jobs act alla buona scuola, dalla trivellazioni all’Alta Velocità – ma se si parla di omofobia allora è uno scandalo perché siamo un paese civile bla, bla, bla…

A dire il vero, e stendendo un velo pietoso su una certa dose di razzismo implicita in tanti discorsi sull’Italia Meridionale, Sarri ha trovato altrettanto presto validi argomenti di difesa e, a suo favore, si è schierato un fronte allargato, ed ecco che le bandiere del «Mancini spia» hanno cominciato a sventolare insieme a quelle di un insospettabile movimento «omosessuali pro Sarri», armato dell’immancabile «non sono d’accordo con la tua opinione ma darei la vita affinché tu possa esprimerla», che evidentemente fenomeni tipo l’ascesa di Hitler non sono bastati a dimostrare come esistano “opinioni” (e l’omofobia è tra queste) rispetto alle quali la vita è il caso di metterla in gioco affinché non si esprimano più e non il contrario.

Le celtiche di Gigi Buffon
Gigi Buffon: l’uomo-simbolo della nazionale italiana e la croce celtica

Tralasciamo i commenti di chi è disposto a vendere l’anima al diavolo pur di festeggiare lo scudetto della sua squadra, ma, per no fare la figura dei bambini che si difendono dalle sculacciate della mamma additando le marachelle dei fratellini, evitiamo anche i paragoni con altri episodi impuniti: tipo la disinvolta esibizione di celtiche e boia chi molla da parte del portierone nazionale Gigi Buffon o la naturalezza con cui il famigerato Tavecchio, sempre saldo sul trono presidenziale, ha dato fiato alle sue trombe razziste e omofobe. Moltissimi articoli dedicati all’affaire Sarri, praticamente tutti, si addentrano nei loro distinguo dopo stucchevoli preamboli costruiti a colpi di «fermo restando la condanna dell’omofobia» e «pur riconoscendo la gravità delle espressioni utilizzate dal tecnico napoletano». Articoli che, in alcuni casi, i migliori, proseguono con argomentazioni tipo «però quando Salvini afferma le stesse cose gli riconoscete massima agibilità politica, mica vi indignate, eh!»; tutte cose vere e sacrosante, come però a essere vera e sacrosanta è anche la chiosa necessaria ad arginare ciò che rischia di essere banale. Una chiosa chiara e concisa tipo: «Grazie al cazzo!».

Se tra le colonne dei nostri giornali esistesse davvero la coerenza, affacciandoci alla finestra avremmo l’occasione di vedere un mondo assolutamente diverso da quello che abitiamo: un mondo dove, ma solo per fare un esempio al volo, si discuterebbe delle onorificenze assegnate a certi ragazzi di Cremona per il loro antifascismo, valore sacro della Costituzione italiana, e non certo della repressione di cui sono vittime

Continuare su questa strada è inutile, l’evidenza dell’ipocrisia imperante parla da sola. Eppure se un Salvini qualunque viene invitato ovunque proprio per inneggiare al sessismo più becero (come al razzismo più becero e al fascismo), mentre l’espressione di Sarri provoca simili bordate di indignazione una ragione deve pur esserci. E a ben vedere questa ragione c’è: il Sarri omofobo, infatti, diventa immediatamente e anche suo malgrado un ostacolo sulla via dell’avanzato stato di trasformazione del calcio, da sport a spettacolo, e degli impianti sportivi, da territori tendenti a esprimere valori antagonisti rispetto alle logiche di dominio a teatri in cui si paga il biglietto per comprare il proprio seggiolino numerato. Il finocchio di Sarri, in questo percorso, è un bel bestemmione smoccolato in cattedrale durante l’omelia del vescovo e, magari a livello inconscio, è proprio in questa rottura che il ruvido tecnico toscano trova difensori che nulla hanno a che spartire con sessismo e omofobia. Anche noi, da questo punto di vista, non facciamo fatica alcuna a iscriverci al club. E non per la comprensibile ma infantile simpatia nei confronti del politicamente scorretto a cui pure non siamo immuni, ma perché crediamo che «l’odierna società dello spettacolo col babau del sessismo e dell’omofobia riuscirebbe non solo a difendersi, a vivere più tranquilla, ma anche a convincere una parte degli spettatori a collaborare con lui, a schierarsi dalla sua parte. Combattere il sessismo e l’omofobia lasciando indisturbato il suo perenne generatore, e anzi illudersi di trovare in questo un difensore contro quello, significa continuare ad avere sulle spalle l’uno e l’altro».

Luigi Fabbri
Luigi Fabbri (1877-1935)

Chiudiamo questa riflessione riconoscendo la paternità del virgolettato finale a Luigi Fabbri e al suo La controrivoluzione preventiva. Scritto nel 1926, il libro di Fabri parlava di «fascismo» e non di «sessismo e di omofobia» e scriveva «Stato capitalista» e non, come abbiamo fatto noi prendendo in prestito le sue parole, «società dello spettacolo». Il senso di simili affermazioni, però, resta perfettamente sovrapponibile. E a questo punto il caso-Sarri può tranquillamente essere archiviato.

(Pubblicato in versione ridotta su Sportpopolare.it il 21 gennaio 2016)

Che cosa significa?

Teso come il filo di uno stendipanni, un ragazzo indugiava davanti alle piante esposte al chiosco del fioraio. Combattuto tra la voglia di fare bella figura e quella di spendere poco, trasudava un imbarazzo completamente estraneo alle mutande appese a prendere il sole.

Cosa significa?

Niente. Ho appena visto un tipo così e ne sono stato colpito. Potrei scriverci un racconto o addirittura un romanzo con un simile incipit, no?

Ma visto che tanto ora c’è Facebook, ci sono i blog e ci sono i social network questa storia finisce qui.

BASTARDS: in divisa, ma non per forza poliziotti

Ci si dimentica facilmente che prima di essere condotto al martirio un ragazzo come Stefano Cucchi fu fatto sfilare in un Tribunale. In quel momento era vivo, eppure mostrava già sul volto il segno delle percosse ricevute. Ebbene, come si comportò quel giorno il giudice chiamato a prendere parola sulla droga posseduta dal ragazzo? Ovviamente non ebbe certo gli occhi per guardare in faccia l’imputato, né il cuore necessario a farsi due domande sullo stato in cui questo gli veniva presentato: gli fu sufficiente trincerarsi dietro il codice per avvallare con la sua ignavia – di questo si tratta – l’imminente morte violenta di una persona colpevole di essere stata fermata con qualche grammo di fumo in tasca.

Quando le foto del cadavere di Stefano Cucchi furono divulgate, i muri di tutte le città italiane salutarono l’ennesima infamia compiuta dal personale in divisa al grido di ACAB. E quella scritta resta senz’altro cosa buona e giusta, rispetto a una lista atroce e lunghissima di vittime degli abusi in divisa e anche rispetto alla sostanziale impunità con cui la polizia arriva a uccidere. Eppure quella scritta non basta. E non basta perché illustra soltanto una parte della catena degli abusi compiuti in divisa: fotografa l’istante in cui il manganello cade sulla testa di chi si oppone a un ordine oppressivo ma non parla di chi, questo stesso ordine, lo difende pagato profumatamente, comodamente seduto su uno scranno di velluto e, senza nemmeno doversi preoccupare di farsi un giro per le strade delle nostre città, dietro alla più ipocrita delle frasi: «La legge è uguale per tutti», dice questa frase. E avete mai sentito un giudice esprimere l’onestà intellettuale necessaria per affermare come si tratti di una solenne stronzata?

Gli esempi sulla disuguaglianza economica, raziale e sessuale della legge si sprecano, essendo che tale disuguaglianza, rispetto alla legge e quindi rispetto a un ordine ingiusto, è la norma e non certo un’eccezione. Ma il modo in cui i magistrati si meritano il titolo di ALL BASTARDS contenuto nella scritta già coniata per i COPS non è di tipo essenzialmente passivo. Basta guardare, a tal proposito, quello che sta succedendo a Bologna su iniziativa del procuratore minorile. Al centro della vertenza c’è la lotta per la casa e, di conseguenza, la situazione di emergenza abitativa in cui vivono centinaia di migliaia di famiglie in tutta Italia: che cosa va a raccontare il procuratore a tutti quei genitori che hanno subito il calvario dello sfratto e che hanno conosciuto le notti in macchina e la strada prima di tornare a vedere le stelle grazie alla lotta e allo strumento dell’occupazione abitativa?

«Basta bimbi occupanti, i genitori vanno fermati», titola oggi il dorso bolognese del «Corriere della Sera». E il quotidiano, riportando le dichiarazioni del magistrato, si premura di spiegare come gli occupanti di casa correranno il rischio di vedersi sottrarre i propri figli dalla stessa magistratura se sorpresi nelle case occupate con la propria prole.

Come si commenta una simile affermazione?

La logica, non c’è dubbio, vorrebbe che sia buon senso pensare come gli emissari di uno stato che nega il diritto alla casa, pur previsto dall’impianto del suo diritto, di tutto possa parlare tranne che di «sicurezza» dei minori. La «sicurezza» di cui tutti, minori e adulti, avrebbero bisogno infatti è prima di tutto la sicurezza sociale, cioè esattamente ciò per cui non c’è più spazio dopo che il governo Renzi, completando un lungo ciclo di devastazione del welfare, ha deciso di dichiarare apertamente guerra ai poveri.

Ma la logica non basta a contenere la rabbia che la minaccia di togliere i figli agli occupanti di case è in grado di suscitare. Sui muri delle nostre città sarebbe ora che comparissero scritte che senza esitazione affermino AJAB: tutti i giudici sono bastardi (e anche tutti i giornalisti… l’iniziale è la stessa). Mentre, ancora più urgente, diventa dare corpo e voce possente a simili scritte. Affinché discorsi e azioni indegne come quelle appena riportate vengano respinte nelle pattumiere della storia. Insieme all’età della barbarie a cui gli «abusi in divisa» di simili giudici vorrebbero contribuire a consegnarci.

Le nostre origini: una risposta a chi pensa di usare “figli di puttana” come insulto

Di puttana, di banditi, di facchini, di cameriere e di marinai, di partigiani e partigiane, di occupanti di case e di sfrattati, di carcerati e di combattenti per la libertà, di raccoglitori di legna e di attingitori di acqua, di lavoratori e lavoratrici del braccio e del pensiero, di chi ha letto milioni di libri e di chi non sa nemmeno parlare, di migranti provenienti da ogni dove e di chi, da ogni dove, non si è mai spostato: di chiunque siamo figli e figlie, rivendichiamo con fierezza le nostre origini in seno a quel popolo in marcia contro l’unica differenza contro la quale ci battiamo ora e sempre. La differenza insanabile tra chi viene sfruttato e chi sfrutta. Ciò che costoro pensano come un insulto per noi è il vanto che rivela la natura sessista, razzista e fascista che vorrebbero imporci: non ci riusciranno mai. In alto la nostra banda! Occupiamo tutto! (Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa di Roma)

Italia criminale a Riano (Roma)

RIANO (Roma): Continuano gli appuntamenti con la letteratura organizzati nella sala consiliare del comune di Riano nell’ambito della rassegna “Sfogliando il Natale”. Domenica 10 gennaio, alle 20, è il turno di Cristiano Armati e del suo “Italia criminale“: spazio a un libro che, a partire da quella che è stata la storia della rapina a mano armata nel nostro paese, dimostra insoliti e inquietanti collegamenti con la più stretta attualità.

Scritto sotto la forca: il ritorno di un capolavoro censurato dai tempi che corrono

Scritto sotto la forca di Julius Fučík
Scritto sotto la forca di Julius Fučík 

Siete stati condannati a morte, ma non sapete quando la sentenza verrà eseguita. Però avete qualche foglio di carta velina e un mozzicone di matita. La vita siete consapevoli di esservela lasciata alle spalle nel momento in cui la Gestapo vi ha tratto in arresto eppure, anche tra il dolore atroce delle torture che avete subito, non avete dubitato neppure per un attimo di essere parte di un futuro di giustizia e libertà. Ora, quanto tempo passerà prima che il boia giunga a infilare il vostro collo in un cappio? Un’ora, un giorno, un mese? Non ha nessuna importanza. Ci sono i fogli di carta velina e un mozzicone di matita. E ai nazisti che si illudono di potervi strappare l’anima non smettete neppure per un attimo di ricordare che voi siete vivi e che i morti sono loro. Lo fate con un libro che è un capolavoro assoluto. Si intitola “Scritto sotto la forca” e lo ha scritto Julius Fučík, militante comunista ed eroe della Resistenza cecoslovacca. C’è stato un tempo in cui un simile libro consentiva a chi lo leggeva di fremere di indignazione e di trasformare la sua rabbia in impegno, quindi in azioni capaci di produrre cambiamenti: un filo rosso che legava l’autore ai suoi lettori in un sentimento simile a ciò che altri hanno definito “immortalità”. Poi quel filo si è spezzato, uno scrittore-partigiano come Fučík è stato dimenticato e così, se una volta eravamo nani arrampicati sulla schiena dei giganti, ora siamo nani che hanno iniziato a scavare sempre più in profondità quando già si credeva di avere toccato il fondo. A cosa abbiamo rinunciato dimenticando Fučík? A un’opera-cardine del canone di un’Europa orgogliosamente antifascista, che ha smesso di definirsi tale spacciandosi prima come “democratica” e poi rinunciando a qualunque questione ideologica: quello che conta è reprimere con la massima violenza possibile affinché gli stessi personaggi che incoronarono l’ascesa di Hitler o di Mussolini, le stesse ditte che si arricchirono costruendo forni crematori o grazie alle commesse di guerra, possano oggi continuare a devastare, saccheggiare, fare la guerra e fatturare… per questo un libro come “Scritto sotto la forca” non si stampava più, non si leggeva più, non faceva più discutere. Almeno fino a oggi. Mentre “Scritto sotto la forca” di Fučík ritorna e afferma che i libri non sono tutti uguali. Alcuni sono merce da consumare. Altri sono micce da accendere. A ciascuno la scelta.

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Julius Fučík
SCRITTO SOTTO LA FORCA
Memorie di un condannato a morte della Resistenza antinazista

Il volto di Julius Fučík, come la sua firma, spesa per fomentare la ribellione contro l’invasione nazista della Cecoslovacchia, erano ben conosciuti dalla polizia hitleriana. Un motivo che avrebbe convinto molti ad abbassare la testa, a cercare di nascondersi, a fuggire, a fare qualunque cosa pur di non ritrovarsi tra le mani della Gestapo. Fučík, però, fa una scelta diversa. E in qualità di responsabile della stampa clandestina moltiplica i suoi sforzi a vantaggio del Partito Comunista e della resistenza cecoslovacca, convinto che nulla, nemmeno la propria vita, poteva essere più prezioso di un futuro dove la distruzione del nazismo sarebbe stata identica a una necessaria rivoluzione sociale. Arrestato a Praga dalla Gestapo nel 1942, il giornalista-partigiano viene torturato a lungo e brutalmente, è ridotto in fin di vita eppure non parla. Altri continueranno la lotta dopo di lui, fino alla vittoria, mentre per Fučík lo spettro della forca si avvicina. All’eroe della resistenza cecoslovacca non resta molto da vivere, ma può contare su un mozzicone di matita e su un mucchietto di sottilissimi fogli di carta velina. Ed è a questi fogli che Fučík consegna il suo capolavoro: un libro terribile e meraviglioso; un atto di amore nei confronti dell’umanità futura e, allo stesso tempo, per il nazismo, una condanna a morte senza appello.

Julius FučíkJulius Fučík: figlio di un operaio metalmeccanico, nasce a Praga nel 1903 e, a soli dodici anni, collabora già con il periodico «Slovan». Nel 1921 s’iscrive al Partito Comunista Cecoslovacco, continuando a interessarsi di arte e letteratura. Membro della resistenza antinazista, viene arrestato dalla Gestapo nel 1942 e, dopo terribili torture e un processo-farsa, trasferito a Berlino, dove viene giustiziato l’8 settembre del 1943. Tradotto in decine di lingue, Scritto sotto la forca (Red Star Press) è considerato all’unanimità il suo capolavoro.